Di tutto di più nella manovra di Bilancio più contrastata e ritardataria degli ultimi anni.
Dall’ordine con cui i conti sono usciti dalla riunione di sabato dei tecnici italiani con gli omologhi della Commissione, si è passati al nuovo disordine delle dichiarazioni e dell’aritmetica traballante. Ci sono cinque miliardi in meno per reddito di cittadinanza e per la cosiddetta quota 100, Salvini e Di Maio continuano ad assicurare la tenuta di platee e misura, ma in realtà i due provvedimenti ancora non esistono e i cittadini per conoscere i fondamentali dettagli che permetteranno di accedere ai benefici dovranno aspettare i decreti o i disegni di legge che verranno varati solo il primo gennaio, anche perché tra Natale e Capodanno la manovra sarà ancora al secondo passaggio alla Camera. Va all’attacco il Pd con l’economista-deputato Marattin: «C’erano 9 miliardi sul reddito di cittadinanza. Meno 1 (centri per l’impiego), meno 2 (tagliati domenica sera) meno 2,5 (i soldi del Rei già presenti), rimangono 3,5 miliardi di risorse vere in più.
Cioè 58,3 euro al mese per ogni povero. Ecco tutto ciò che rimane delle balle grilline». Quello che si sa è che la manovra resta sui 33,9 miliardi, e che le due misure “bandiera” ma ancora sconosciute nei dettagli, rappresentano circa 11-12 miliardi, un terzo dell’intera legge di Bilancio, l’altra voce grossa è la sterilizzazione dell’Iva per 12,4 miliardi. Il resto è molto ordinario e, spesso ricalca e rifinanzia misure del precedente governo: come il bonus giovani da 500 euro, molto contestato allora, ma che ora viene rifinanziato perdendo la possibilità di andare al concerto e lasciando quella di acquistare libri. Fotocopie normative anche i bonus per le ristrutturazioni e quello per i giardini pensili. Stessa solfa nel mondo delle imprese e del lavoro autonomo: l’unica novità è l’introduzione della mini flat tax al 15% per professionisti e commercianti che totalizzano ricavi sotto i 65 mila euro. Il resto è proroga, come avviene con gli iperammortamenti di Industria 4.0. Quando gli incentivi spesso suscitano perplessità e polemiche: come l’incentivo per l’assunzione dei giovani con 110 e lode, sotto i 30 anni, ai quali tuttavia può essere assegnato anche un lavoro dequalificato. Mentre si riscontrano tagli, per oltre 50 milioni, su misure come l’alternanza scuola lavoro e apprendistato che pure hanno avuto successo. L’ultima carta giocata sul mercato del lavoro, dove il bonus per le assunzioni al Sud è stato rifinanziato, è invece una novità: taglio del cuneo fiscale in busta paga con una riduzione del 30% dei contributi Inail per 600 milioni. Per il resto la partita degli sconti sugli utili reinvestiti è solo un passaggio nominale: si cancella l’istituto dell’Ace e si introduce un taglio dell’Ires di 9 punti. Poca la differenza.
L’ecologia legata all’auto entra a gamba tesa nella manovra: tra leghisti contrari e Cinque stelle favorevoli, l’ecotassa rimarrà solo sulle auto inquinanti ma di lusso, mentre le auto inquinanti ma di piccola cilindrata rimarranno esenti. Ci sarà anche un bonus da 6 mila euro per chi vorrà acquistare l’auto elettrica. La vena ecologica dei grillini emerge anche nella montagna di emendamenti depositati in Commissione Bilancio del Senato dove la “Finanziaria” attende le decisioni dei gialloverdi. Un paio di proposte M5S vanno segnalate: quella di Pirro che vuole vietare che il settore idrocarburi sia definito di interesse nazionale e quella di L’Abbate che prevede incentivi per la produzione di stoviglie di bioplastica. Il governo che prometteva la flat tax per 30 milioni di contribuenti rischia di lasciarci l’amaro in bocca: dal 1° gennaio le tasse locali, in pratica le addizionali Irpef, potranno ricominciare a crescere. E con la fame di risorse dei comuni, c’è da scommetere che lo faranno.
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