Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore sanità. Si è dunque concluso l’iter della seconda legge di bilancio della XIX Legislatura con la pubblicazione sul SO della GU n. 303 della legge n. 213 del 30 dicembre 2023 , entrata in vigore il 1° gennaio. Sul piano procedurale sembrava che fossero state superate le anomalie del passato, ma molte difficoltà sopravvenute hanno portato ad un risultato “quasi” uguale a quelli degli anni scorsi. Accadeva da tempo immemore che il testo del Ddl governativo venisse ridotto a un solo articolo con centinaia di commi perché il Governo, in prossimità della fine dell’anno, era costretto a porre il voto di fiducia per scongiurare il ricorso all’esercizio provvisorio. E così è stato pure questa volta con il voto sul maxi emendamento al Senato il 22 dicembre e il successivo passaggio blindato e definitivo alla Camera del 29 dicembre, senza peraltro il ricorso al voto di fiducia. Non è stato quindi possibile superare del tutto la assurda tradizione del passato ed evitare il consueto e, a volte, imbarazzante assalto alla diligenza che, immancabilmente, è avvenuto nelle ultime ore.
Abbiamo quindi una ulteriore legge fatta di un solo articolo: in realtà, la legge 213/2023 consta di 21 articoli ma quelli da 2 a 21 si riferiscono a norme di approvazione dello stato di previsione mentre la “vera” legge è l’art. 1, composto di 561 commi, a occhio la metà di quelli del passato. Oltretutto, questa tecnica legislativa – se è possibile chiamarla in tal modo – comporta norme molto difficili da leggere, essendo tutte prive di rubrica e sistematicità. Più o meno sono confermate tutte le disposizioni presenti nel Ddl con la sola eccezione del vecchio art. 33 – quello sulle pensioni – che è stato destrutturato in una modalità ai limiti dell’illeggibilità.
Rispetto al testo uscito dal Consiglio dei ministri del 28 ottobre scorso – commentato su questo sito il 30 ottobre – sono state sostanzialmente confermate le disposizioni riguardanti, in particolare, la sanità e il lavoro pubblico; come già detto, è stata invece molto modificata la norma sulle pensioni. Vediamo il dettaglio precisando che tra parentesi viene indicata la corrispondente norma del Ddl di ottobre.
comma 15 (già art. 5) => norma di natura eccezionale. Si tratta del cosiddetto taglio del cuneo fiscale, o esonero contributivo per i lavoratori dipendenti pubblici e privati. La circostanza che questa disposizione si applichi anche ai dipendenti pubblici è evidente per via dell’indicazione “rapporti di lavoro dipendente” con la sola espressa esclusione dei “rapporti di lavoro domestico”. È, come detto, una misura provvisoria limitata ai redditi bassi che vale solo per il 2024 e che impiega la quota più consistente della manovra. Tale misura è destinata a finanziare l’esonero che era già previsto negli ultimi due anni e in scadenza a fine 2023. Il taglio del cuneo contributivo è pari al 6% se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692 euro e al 7% se la stessa retribuzione non eccede l’importo mensile di 1.923 euro. La manovra esclude, inoltre, dal taglio dei contributi il rateo della tredicesima mensilità. L’intervento dovrebbe garantire ai lavoratori fino a 35.000 euro circa 1.000 euro in più, a cui si vanno ad aggiungere altri 260 euro di taglio Irpef previsto dalla riforma fiscale con il passaggio da quattro a tre aliquote. Nessun vantaggio per i lavoratori con reddito superiore a 35.000 euro annui. L’esonero parziale dei contributi previdenziali è senz’altro una leva interessante per il potere d’acquisto dei salari: peccato che nelle aziende sanitarie della misura ne beneficeranno veramente in pochi. La soglia di 35.000 euro annui è ampiamente superata da tutti i dirigenti ma anche da tutto il personale inquadrato nella Area quarta, cioè in pratica da circa 450.000 lavoratori.
comma 16 (era l’art. 6) = la tematica disciplinata in questo articolo è quella dei benefici fiscali per il welfare aziendale. La questione è tanto interessante quanto complicatissima ed era stata già stata affrontata su questo sito addirittura il 14 giugno dell’anno scorso. Continuo a ritenere che la disposizione sia applicabile anche ai pubblici dipendenti e gli interventi del datore di lavoro descritti in questo articolo rientrino pienamente nella fattispecie di cui all’art. 57, comma 1, lettera e), della Preintesa del Ccnl dell’Area Sanità siglata il 28 settembre scorso. Il punto citato – innovativo rispetto alla clausola contrattuale precedente – prevede proprio “altre categorie di beni e servizi che, in base alle vigenti norme fiscali, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente”.
comma 18 (era l’art. 7) = viene ridotta l’aliquota sostitutiva sui premi di produttività entro il limite complessivo di 3.000 € annui. La norma, in ogni caso, va applicata solo nel privato e non anche nel pubblico, per il chiaro disposto del comma 186 della legge citata, e così è sempre stato. Resta completamente ignorata la promessa di detassazione dell’accessorio che è divenuta ormai una beffa
comma 27 (già art. 10, comma 1) => vengono stanziate sul Bilancio dello Stato per il triennio contrattuale 2022-2024 (solo per il personale statale) altri 3 miliardi per il 2024 e altri 5 miliardi per il 2025 per i rinnovi contrattuali. Tuttavia, i tre miliardi indicati sono indistinti ed è quindi impossibile comprendere la suddivisione tra i comparti e le aree. Quello che sembra chiaro è che l’importo si riferisce sia al personale contrattualizzato che a quello in regime di diritto pubblico e che, ovviamente, tutte le cifre sono al lordo, per cui occorre togliere circa il 37%. Dei tre miliardi stanziati un buon terzo rientrerà in possesso dell’erario sotto forma di Irpef.
comma 28 (già art. 10, comma 2) => si fa riferimento alla cosiddetta supertredicesima che dovrà essere erogata – come anticipazione e non a fondo perduto – nel 2024 da parte delle amministrazioni che non l’hanno pagata a dicembre 2023. Si tratta dell’anticipazione già percepita (la vecchia indennità di vacanza contrattuale) incrementata 6,7 volte il suo valore
comma 29 (era l’art. 10, comma 3) => dispone che per il personale dipendente da altre pubbliche amministrazioni – tra le quali tutto il Ssn – gli incrementi degli stanziamenti per rinnovi contrattuali avvengono sulla base degli stessi criteri di cui al comma 27. A proposito di “criteri”, nella prima stesura si precisava “con le modalità e nella misura in cui” ma ora si dice semplicisticamente “sulla base dei criteri”, locuzione che, se parliamo di risorse finanziarie, non vuol dire francamente nulla.
comma 30 (già art. 10, comma 4) => le disposizioni del comma 29 e, soprattutto, i finanziamenti ricomprendono anche gli aumenti per il personale convenzionato (Mmg, Pls, specialisti ambulatoriali)
comma 31 (già art. 10, comma 5) => gli oneri sempre di cui al comma 29 comprendono anche i riconoscimenti finalizzati a valorizzare la specificità medico-veterinaria, infermieristica e dell’altro personale ma ci vorrà uno specifico Atto di indirizzo del Comitato di settore per la contrattazione collettiva
commi da 125 a 164 => questa parte costituisce l’emendamento governativo all’ex art. 33 che aveva suscitato tante polemiche. Nel testo definitivo della legge gli interventi sulla previdenza sono ora numerosi ed estremamente complicati. Le questioni che coinvolgono il personale della Sanità pubblica sono molteplici e la soluzione adottata dal Governo è stata efficacemente commentata da Claudio Testuzza il 20 dicembre scorso su questo sito. Aggiungo soltanto una valutazione sintetica: la soluzione è a mio avviso incostituzionale, inutilmente persecutoria e controproducente. Incostituzionale, perché senza motivazioni oggettive discrimina le altre professioni sanitarie rispetto agli infermieri (senza voler citare, peraltro, la dirigenza sanitaria) ma anche perché, in ogni caso, tutta la revisione delle finestre d’uscita per le pensioni anticipate prevede un posticipo della decorrenza dell’assegno che si concretizza in un ennesimo scippo di diritti quesiti ed è in assoluta controtendenza con le chiare e inequivocabili indicazioni della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 130 del 23 giugno 2023 (illegittimità del differimento del Tfr dei dipendenti pubblici), ha già censurato queste manovre; persecutoria, perché si accanisce nei confronti di soggetti che versano in condizioni contrattuali e organiche quasi disperate; controproducente, perché la paura suscitata dal testo del vecchio art. 33 ha già prodotto decine e decine di dimissioni di personale. Se poi si pensa che i problemi delle carenze organiche possano essere risolti trattenendo gli infermieri fino a 70 anni (!), c’è davvero da chiedersi se gli estensori dell’emendamento sappiano di cosa stiamo parlando
comma 217 (già art. 41) => definizione del fondo sanitario nazionale – termini gergali utilizzati per indicare il “livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato” – che per il 2024 dovrebbe essere di circa 134 mld. Tale importo indistinto dovrà finanziare tutte le attività della sanità prescritte nei commi successivi, ma anche i rinnovi dei Ccnl per il triennio 2022-2024, cioè ben otto diversi e importanti impieghi con le stesse risorse. Rispetto alla norma contenuta nel Ddl, si prevede una futura riduzione del fondo
comma 218 (già art. 42, comma 1) = con le disposizioni sulle prestazioni aggiuntive si stabilisce la prosecuzione del regime per le liste d’attesa fino al 31.12.2026 e l’estensione a tutte le prestazioni del “personale medico” (solo per loro). Appare molto complesso distinguere sul campo quali siano le prestazioni finalizzate alle liste di attesa (pagabili a tutta la dirigenza) e quelle riservate solo ai medici. La norma appare assolutamente inutile perché l’aumento fino a 100 euro è già previsto dall’art. 89, comma 4, della Preintesa del Ccnl del 28 settembre che evidentemente gli estensori della norma non conoscono. Ma, a parte questo, è singolare che il comma si chiuda con la prescrizione che “restano ferme le disposizioni vigenti in materia… orario massimo di lavoro e ai prescritti riposi”. Se la settimana lavorativa non può eccedere come media semestrale le 48 ore (art. 4 del d.lgs. 66/2006) e se è obbligatorio il riposo biologico giornaliero di 11 ore (art. 4), ci si chiede quando possano essere svolte le prestazioni aggiuntive.
comma 219 (già art. 42, comma 2) => le prestazioni aggiuntive del personale del comparto possono essere portate a 60 euro, anche se non si comprende chi le autorizzi (“può essere aumentata”). Riguardo alle prestazioni aggiuntive del comparto ho scritto infinite volte che si tratta di un istituto giuridico “fantasma” in quanto privo di una disposizione legislativa univoca e chiara sulla natura e caratteristiche di queste prestazioni. In tal senso, sarebbe interessante verificare se gli estensori della norma – ma anche tutti gli utilizzatori sul campo – siano in grado di indicare quali siano esattamente “le disposizioni vigenti in materia di prestazioni aggiuntive”
comma 220 (già art. 42, comma 3) => autorizzazione alla spesa di 200 e 80 ml di € per le finalità dei commi precedenti
comma 221 (già art. 42, comma 4) => gli stanziamenti di cui al comma 220 sono a valere sul fabbisogno standard, quindi non sono incrementi ulteriori
comma 222 (già art. 42, comma 5) => disposizioni sul blocco dell’intramoenia in caso di non rispetto del Piano delle liste di attesa
comma 223 (già art. 43) => aumento dell’8,5% del tetto per la spesa farmaceutica (+ 0,2%) e diminuzione del tetto di quella convenzionata territoriale (- 0,2%) che diventa pari al 6,8% del fondo sanitario
commi da 224 a 231 (già art. 44) => norme sulla ridefinizione della spesa farmaceutica. Il risultato più evidente di questa operazione sarà un maggiore utilizzo del canale convenzionato rispetto al canale della distribuzione diretta (dd) o per conto (dpc). Cambierà anche il sistema di remunerazione delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime Ssn. Vengono infine sostituite le agevolazioni attuali a favore delle farmacie rurali
comma 232 (già art. 45) => possibilità di coinvolgere il privato accreditato nel Piano delle liste di attesa nel limite dello 0,4% del fondo sanitario pari a circa 536 mln
comma 233 (già art. 46) => si rivedono i tetti per la spesa da privato accreditato (ricoveri e specialistica ambulatoriale) che sarà pari alla spesa consuntivata nel 2011 incrementata dell’1% nel 2024, del 3% nel 2025 e del 4% nel 2026
comma 234 (già art. 47) => si mantiene anche per il 2024 la quota premiale sulle risorse ordinarie per il finanziamento del Ssn
comma 235 (già art. 48) => quota di 50 ml di € per il 2024 vincolata all’aggiornamento dei Lea
comma 236 => viene prorogato fino al 31.12.2025 l’incremento della valorizzazione tariffaria dell’attività dell’Ismett di Palermo (norma non presente nel Ddl)
comma da 237 a 243 (già art. 49) => norme sulla quota di compartecipazione alla spesa per i transfrontalieri. Vedi in proposito l’articolo specifico pubblicato sul sito lo scorso 3 novembre
comma 244 (già art. 50) => per l’attuazione del Pnrr e della revisione dell’assistenza territoriale, incremento di 250 ml per il 2025 per la spesa del personale dipendente (nulla per il 2024). Norma a mio avviso di puro effetto-annuncio e nessuna concretezza, basterebbe soltanto segnalare che per realizzare tutti gli interventi della Missione 6 del Piano serviranno almeno 36.000 nuovi infermieri, a tacere delle altre professionalità.
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