Che tutto cambierà quando, il Veneto riuscirà ad ottenere dallo Stato l’agognata autonomia, è tema ricorrente in consiglio regionale, dove ormai ogni legge (da ultimo il bilancio approvato la scorsa settimana) viene immancabilmente introdotta da ampi preamboli dedicati alla riforma in itinere, col corollario di soldi ed opportunità che ne seguiranno. Della serie: intanto legiferiamo così ma preparatevi alla rivoluzione, di cui Lega e Cinque Stelle danno per imminente la firma.
Non fa eccezione il Piano sociosanitario, il più importante atto programmatorio della Regione, di cui ieri è iniziata la discussione a Palazzo Ferro Fini. L’ha detto chiaramente il relatore Fabrizio Boron, presidente della commissione Sanità: «Il Piano sociosanitario 2019- 2023, dopo la riforma avvenuta con la legge 19, completa il percorso di trasformazione del nostro sistema sanitario. Siamo di fronte a una sfida importantissima, che vede al centro della programmazione il tema dell’autonomia». Con quali prospettive? «Il Veneto deve poter decidere liberamente come migliorare il proprio sistema sociosanitario, non solo per la programmazione delle risorse ma anche per quella del personale e della formazione».
Il tema principale, ovviamente, è quello delle risorse, che pure in sanità sono già oggi ingenti: 9 miliardi di euro su un bilancio complessivo di 17. «C’è uno studio predisposto dall’Università Cà Foscari – ha continuato Boron – da cui emerge come il Veneto, ogni anno, riceva 75 euro pro capite in meno rispetto alla spesa media nazionale. Ciò significa che una volta che la riforma autonomista sarà a regime, e finalmente avremo i costi standard nazionali, la nostra regione potrà godere di 375 milioni di euro in più all’anno. Anche su questo fronte, l’autonomia saprà dare risposte e soluzioni convincenti». Con quei soldi, ad esempio, potrebbe essere eliminato il ticket da 10 euro sulla specialistica.
Nelle stesse ore in cui Boron presentava in aula il Piano, il governatore Zaia (che giusto ieri ha acquisito ad interim le deleghe della Sanità dopo le dimissioni, lunedì, dell’assessore Luca Coletto, nominato sottosegretario del Governo Conte) interveniva a margine dell’inaugurazione di una nuova apparecchiatura a Treviso: «Si dice che in futuro mancheranno 56 mila medici a livello nazionale (1.300 quelli stimati in Veneto, ndr .), una roba paurosa. È stata completamente sbagliata la programmazione, a cui bisognerà rimettere mano, come sarà bene togliere il numero chiuso all’università: io sono sempre stato contrario, penso che i ragazzi debbano essere selezionati sul campo».
Va detto che entrambi i temi sono centrali nella trattativa autonomista con lo Stato, perché la Regione vorrebbe poter stabilire il fabbisogno di personale e procedere da sé con il reclutamento di medici e infermieri («Nel rispetto dei vincoli di bilancio – si legge nella bozza d’intesa – e dei livelli essenziali di assistenza è attribuita alla Regione una maggiore autonomia in materia di gestione del personale del Servizio Sanitario Regionale, compresa la regolamentazione dell’attività libero professionale»), così come vorrebbe poter disporre con maggiore libertà delle borse di studio («È attribuita alla Regione una maggiore autonomia in materia di accesso alle scuole di specializzazione, ivi compresa la programmazione delle borse di studio per i medici specializzandi e la loro integrazione operativa con il sistema aziendale»). Argomenti su cui, riferiscono da Roma, non mancano attriti con la ministra pentastellata Giulia Grillo.
Zaia dà poi al governo amico un terzo suggerimento: «Potremmo valorizzare i professionisti che già abbiamo. In un periodo di emergenza, perché perdere professionisti che a 65 anni sono nel pieno del loro vigore professionale, al culmine della loro esperienza, che ben potrebbero restare qualche anno in più all’interno dei nostri ospedali, per mandarli in pensione ? Io valuterei la possibilità di allungare l’età pensionabile in questo settore, magari in maniera volontaria, negoziabile con l’azienda ospedaliera. Conosco un sacco di medici bravissimi che resterebbero volentieri a lavorare».
Corveneto