Il confronto L’imprenditore veneto: oggi peggio di Tangentopoli, prima c’erano i partiti adesso ci sono affaristi per interessi personali. Per Enrico Maltauro 100mila euro erano un prezzo accettabile per far sopravvivere la sua azienda. Tanti erano i soldi che l’imprenditore vicentino versava ogni anno a Sergio Cattozzo per procacciarsi gli affari necessari a evitare il fallimento dell’impresa di cui era amministratore delegato.
In cambio, Cattozzo attivava la sua rete di conoscenze, amicizie scaturite dal suo passato nella Cisl prima e nell’Udc dopo, utili per tessere la rete che conduceva dritto agli appalti. «È stato Cattozzo a presentarmi Gianstefano Frigerio», ha detto ieri Maltauro al gip Fabio Antezza che lo ha interrogato per un’ora nel carcere di Opera.
Maltauro ha ammesso i fatti che gli sono stati contestati «nella loro materialità» e si è riservato di spiegarli e approfondirli nel prossimo interrogatorio davanti ai pm della procura di Milano, Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio. Ma al di là delle ammissioni che sembrano confermare il quadro delineato dalla Procura di Milano, è importante seguire il ragionamento di Maltauro se si vuole comprendere il contesto in cui la «cupola delle tangenti» ha operato indisturbata. «Ho dovuto trovarmi un lobbista come Cattozzo, che stipendiavo regolarmente con circa 100mila euro all’anno. Se non fai così porti i libri in tribunale», ha spiegato Maltauro. Dopo il coinvolgimento in Tangentopoli, l’imprenditore era uscito dall’azienda per tornarvi solo dieci anni dopo. Ma la situazione che aveva trovato – ha spiegato al gip – era peggiore di quella della stagione di Mani pulite. Allora c’erano i partiti, oggi ci sono singoli affaristi che agiscono per interessi personali, ha raccontato l’imprenditore, assisitito dagli avvocati Giovanni Maria Dedola e Paolo Grasso. Maltauro non si è soffermato sugli episodi contestati ma ha sottolineato che in alcuni casi la «cupola» millantava interventi che in realtà non realizzava, come in uno degli appalti della Sogin.
Le parziali ammissioni dell’imprenditore sembrano concordare con la versione fornita da Cattozzo al gip. «I biglietti che ho cercato di nascondere – ha spiegato riferendosi ad alcuni post-it che gli sono ritrovati addosso durante l’arresto – erano quelli su cui ho annotato i soldi che mi sono stati dati da Maltauro». Cattozzo non ha menzionato il termine tangenti, riservandosi di spiegare i dettagli ai pm. «Ancora una volta – ha ribadito il difensore dell’ex segretario ligure dell’Udc, l’avvocato Michele Ciravegna – Cattozzo sì è scusato per aver nascosto quei biglietti».
Respingono le accuse come ai tempi di Mani pulite, invece, il “compagno G” Primo Greganti e l’ex parlamentare di Forza Italia, Gianstefano Frigerio. Hanno negato di essere tra i promotori della «cupola» che avrebbe messo le mani sugli appalti dell’Expo, della sanità e della Sogin. Greganti, in particolare, ha affermato di occuparsi da anni della promozione della filiera del legno e di non aver mai interferito in maniera illecita sugli appalti. Stessa musica anche per l’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo: «Non ho mai preso soldi né mi sono occupato degli appalti di Expo e Sogin», ha detto al gip in due ore di interrogatorio. Anche Angelo Paris prende le distanze: il manager di Expo 2015 ha ammesso di aver fatto degli errori ma di non far parte della «cupola» e ha respinto le accuse di associazione per delinquere.
Intanto l’indagine sugli appalti Sogin si arricchisce di un nuovo capitolo. Il nuovo amministratore delegato della società, Riccardo Casale, ha presentato un esposto alla magistratura in cui sono illustrati i risultati di una due diligence avviata sei mesi fa e che ha portato alla scoperta di spese ingiustificate, a ipotesi di peculato e ad elementi che si sposano con le indagini della procura di Milano, relativi alla gestione di Giuseppe Nucci, l’ex ad indagato dai pm lombardi. Lo scorso 8 maggio – giorno degli arresti – il Cda di Sogin ha approvato le conclusioni della due diligence dando il pieno supporto ad agire con la massima determinazione. Lo stesso giorno sono state consegnate sette lettere di costestazione ad altrettanti dipendenti, due dei quali coinvolti nell’indagine milanese.
Il Sole 24 Ore – 13 maggio 2014