Nelle scorse settimane avrete sentito parlare della malattia X, una minaccia su cui hanno acceso i riflettori gli esperti di Ginevra, proprio mentre i casi di Covid-19 andavano scemando. Il nome può lasciare perplessi: che cos’è questa malattia X, e davvero dobbiamo preoccuparci?
A rispondere sono i medici anti-bufale di Dottoremaeveroche.it, il portale contro le fake news della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici). Che in questo caso fanno un passo indietro nel tempo. Fin dal 2018, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito la “malattia X” nell’elenco di infezioni su cui è prioritario investire in ricerca e sviluppo. Una malattia senza nome perché ancora sconosciuta, legata a un agente infettivo ignoto, che non è quindi possibile definire in altri modo che con una X.
E se non lo conoscono medici e scienziati, impossibilitati quindi per definizione a sapere come individuarlo, curarlo o prevenirlo, tantomeno lo conosce il sistema immunitario, che non avendolo mai incontrato non sarebbe in grado di difendere l’organismo da eventuali gravi conseguenze dell’infezione.
Come nasce una malattia X
A facilitare l’emergere di nuovi agenti infettivi ci sono oggi rispetto al passato molti fattori, tra cui la crescita del numero e dell’ampiezza di spostamenti di persone e merci tra le diverse parti del mondo, la deforestazione che avvicina esseri umani a specie animali prima isolate da barriere naturali, i profondi cambiamenti climatici cui sta andando incontro il pianeta.
Per questo dall’inizio del millennio il tasso di comparsa di nuovi virus o la loro diffusione rispetto al secolo precedente è aumentato, prima della pandemia di Covid-19, con le prime infezioni umane del virus dell’influenza aviaria H5N e la comparsa di Sars (2002-2003), Mers (2012), la grande epidemia di Ebola in Africa occidentale (2014-2015) e la diffusione di Zika in Sud America (2015-2016). È il progresso, bellezza (direbbe qualcuno).
Le zoonosi
La maggior parte di queste infezioni origina dal passaggio di specie di un agente infettivo da un ospite animale (per lo più mammiferi o uccelli) a un essere umano, l’ormai celebre spillover. Ma di che numeri parliamo? Nel 2018 già si stimava che esistessero circa 1,6 milioni di specie virali ancora ignote appartenenti a famiglie adatte a questo salto, e che un numero variabile tra 631.000 e 827.000 di questi virus avrebbero il potenziale per attaccare gli esseri umani.
Non è proprio una novità
Già nel secolo scorso si verificò una sorta di malattia X: un virus fino ad allora nuovo e sconosciuto, Hiv, si diffuse in tutti i continenti, provocando con l’Aids un enorme carico di sofferenza e morti. Il fatto che non si trasmettesse per via respiratoria spinse tuttavia a classificare questa condizione in maniera diversa da quelle che dilagano con le goccioline di saliva o per aerosol. Sempre nel Ventesimo secolo furono scoperti anche altri agenti infettivi, come Ebola, Marburg, Lassa o Nipah, per citarne alcuni, che tuttavia restarono confinati ad aree limitate e non rappresentarono mai una minaccia per il mondo intero.
Insomma, ecco perchè poi si iniziò a parlare di malattia X, senza sapere che l’ipotesi si stava per concretizzare nel mercato del pesce della città cinese di Wuhan, dove alla fine del 2019 si verificarono i primi casi di polmonite umana da parte di un coronavirus mai visto prima, da cui originò la pandemia da Covid-19. Il virus è diventato endemico, ma aveva tutte le carte in regola, secondo i dottori anti-bufale, per rispondere alla definizione di malattia X.
Ecco perchè il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus è convinto che la questione non è “se”, ma “quando” ci troveremo di fronte a una nuova pandemia, davanti alla quale dovremmo farci trovare più preparati – si spera – di quanto eravamo all’inizio del 2020.