Dichiarare “climate-controlled pork”, che suona un po’ in italiano “maiale a impatto controllato”, è ingannevole secondo l’Alta corte danese che ha dato torto alla Danish Crown, il più grande produttore di carne suina in Europa
Dichiarare in etichetta “climate-controlled pork” come ha fatto negli anni scorsi la Danish Crown, il più grande produttore di carne suina in Europa, ovvero che l’allevamento intensivo del maiale avviene controllando l’impatto climatico è “ingannevole” secondo l’Alta corte danese che ha messo un punto a una querelle durata per anni, condannando l’azienda al pagamento delle spese legali per 40mila euro.
Il caso, portato avanti dalla Vegetarian Society of Denmark e dal Movimento per il clima, è il primo per greenwashing che viene processato in Danimarca.
Da una parte gli attivisti animalisti e ambientalisti come Greenpeace che già dal 2021 hanno denunciato un claim che definirlo greenwashing è il minimo, dall’altra un big della carne che ha difeso le proprie dichiarazioni poiché l’azienda si stava impegnando per ridurre l’impronta di carbonio della produzione di carne suina. Fatto sta che la Danish Crown ha smesso di “appiccicare” il bollino “climate-controlled pork” sulle confezioni di salsicce e braciole.
Tuttavia la sentenza dell’Alta corte ha fatto chiarezza su alcuni aspetti definiti ingannevoli. In particolare i giudici hanno ritenuto che l’etichetta “maiale a clima controllato” non era stata soggetta a un controllo indipendente e quindi limitava la capacità del consumatore medio di prendere una decisione informata. L’etichettatura in altre parole poteva “distorcere in modo significativo” il comportamento economico del consumatore medio, ha affermato.
Gli attivisti ora sperano che ciò possa imporre cambiamenti più ampi nell’industria alimentare. “È più probabile che i maiali possano volare che la produzione di carne suina possa essere rispettosa del clima”, ha affermato Frederik Roland Sandby del Movimento per il clima, un’associazione ambientalista danese.
Il Salvagente