Dal 1 settembre la Grecia ha autorizzato la vendita a prezzi stracciati di prodotti alimentari non deperibili, anche dopo il termine minimo di conservazione indicato sull’etichetta. Come è possibile? Molti giornali hanno creato allarmismo e confusione confondendo la scadenza con il termine minimo di conservazione (Tmc) che non è un limite invalicabile. Qualche chiarimento. E l’azione delle istituzioni europee per lottare contro lo spreco. In un recente articolo del Sole24Ore del 3 settembre, dal titolo “In Grecia prodotti scaduti pur di vendere”, il pezzo sembra suggerire aspetti di commercializzazione armonizzati a livello europeo, quando invece la possibilità offerta dalle autorità greche è solo su base nazionale. Ma vediamo nel dettaglio.
Nel lancio, che favorisce peraltro una riflessione interessante su aspetti macro-economici riferite ai destini dell’Europa (la Grecia è davvero alla fame), si afferma che i prodotti in questione (sottoposti a vendite sottocosto per un periodo limitato di tempo, in appositi scaffali separati dal resto delle vendite) sono effettivamente quelli privi di data di scadenza (giorno e mese), che sono deperibili (marmellate, biscotti, olio …): la legge invece non si applica agli alimenti deperibili (latticini, carne). Fin qui non ci sono problemi, da un punto di vista della sicurezza alimentare e dal punto di vista delle norme di commercializzazione (greche). L’articolo però prosegue affermando che la Grecia sarebbe perfettamente in linea con le norme europee, che consentirebbero di vendere prodotti con data di scadenza fino ad una settimana dopo il termine, e prodotti con termine minimo di conservazione fino ad un mese dopo (e fino ad un anno dopo i prodotti che invece presentano “da consumarsi preferibilmente entro (anno)”).
Ora, è utile affrettarsi a fare alcune precisazioni.
TMC
I prodotti con Termine Minimo di Conservazione (TMC) possono effettivamente essere consumati senza pregiudizio per la salute dei consumatori. Non a caso, in inglese, si tratta dell’equivalente “best before”, “da consumarsi preferibilmente entro”. Quel “preferibilmente” fa la differenza, in quanto si tratta di un lento deterioramento di caratteristiche organolettiche e sensoriali che non pregiudica la sicurezza alimentare. Tuttavia, il pezzo suggerisce anche che in Europa sia possibile mettere in vendita alimenti deperibili (che indicano in confezione giorno e mese di scadenza), e che di conseguenza la Grecia sarebbe “coperta”.
La ricostruzione è fantasiosa. In Europa vige l’obbligo di non porre in vendita cibo oltre la data di scadenza, per quei cibi che hanno una durabilità ridotta- non superiore ai 30 giorni- e che possono perciò recare pregiudizio anche grave alla salute dei consumatori. La data di scadenza indica proprio il termine massimo oltre il quale il prodotto non può essere per nessun motivo commercializzato e detenuto sul banco di vendita”. In Italia, più precisamente, all’art. 10, comma 7 del D. lgs 109/92 si precisa che “E’ vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione”.
E la nuova normativa UE, “Food Information to Consumers”?
Con la nuova normativa, il Reg. 1169/2011, e dopo le negoziazioni con le parti sociali ed economiche, è stato ottenuto che nel caso del TMC questi- a differenza della Direttiva precedente, 13/2000, non debba essere necessariamente indicato nello stesso campo visivo principale di denominazione di vendita. Mentre, si legge sempre nel regolamento in questione, la data di scadenza per i prodotti deperibili viene “blindata”:
Art. 24, Successivamente alla data di scadenza un alimento è considerato a rischio a norma dell’articolo 14, paragrafi da 2 a 5, del regolamento (CE) n. 178/2002.
La Commissione però specifica-probabilmente in ragione del dibattito in corso al Parlamento UE circa le misure per lottare contro gli sprechi- che in futuro potranno essere adottati atti di esecuzione che definiscano meglio un corretto uso del “da consumarsi preferibilmente entro”. (art. 24, comma 3). Ma si tratta di qualcosa di diverso dalla data di scadenza in senso stretto.
Lotta agli sprechi e spazi aperti su Termine Minimo di Conservazione
In fase di stesura del 1169, erano già infatti in studio aspetti riferiti ad il cosiddetto “dual labeling”, che per ragioni di tempo non è stato possibile includere nel regolamento stesso. Dopo la relazione di Salvatore Caronna al Parlamento europeo sullo spreco alimentare e le misure che la Unione avrebbe dovuto prendere (19 gennaio 2012), infatti, una delle opzioni più caldeggiate per invitare i consumatori a non buttare cibo sano ed edibile era quella di una doppia data sulle confezioni. Oltre al “da consumarsi preferibilmente entro”, valida per la commercializzazione, sarebbe stata da inserire la “vera” data di scadenza, riferita invece proprio ad aspetti di sicurezza alimentare. In modo da distinguere aspetti di qualità commerciale da quelli di sicurezza alimentare.
La Grecia quindi ha fiutato una sensibilità nell’aria, e complice la crisi economica, è passata all’azione.
Ma il messaggio passato dal giornale è fantasioso e rischioso: come a suggerire che alimenti deperibili (come latticini) consumati una settimana dopo, sicuramente non presentano problemi.
Purtroppo non è così, e bisogna prestare massima attenzione ai tempi e alle corrette condizioni di conservazione. Il caso della Sindrome Emolitico Uremica da latticini mal conservati e prodotti in condizioni igieniche inadatte in Puglia,di questo agosto- è una vicenda che impone di non abbassare la guardia. Magari, cominciando dal fare informazione corretta.
Quando la data sull’etichetta non è una scadenza. Guida al consumo dei prodotti alimentari che indicano il termine minimo di conservazione
Dal 1 settembre la Grecia ha autorizzato la vendita a prezzi stracciati di prodotti alimentari non deperibili, anche dopo il termine minimo di conservazione indicato sull’etichetta. Come è possibile? Molti giornali hanno creato allarmismo e confusione confondendo la scadenza con il termine minimo di conservazione (Tmc) che non è un limite invalicabile. Va detto che non siamo di fronte a una data di scadenza come pensa la maggior parte delle persone, ma a un’indicazione. Questo significa che nel periodo successivo gli alimenti sono ancora commestibili, ma registrano in modo progressivo un lento decadimento nutrizionale e organolettico.
Stiamo parlando di prodotti come: pasta, riso, salsa di pomodoro, marmellata, sottaceti… che riportano sull’etichetta il termine minimo di conservazione. L’intervallo (variabile da 3-6 mesi sino a oltre 2 anni) viene stabilito da ogni azienda in relazione alla qualità delle materie prime, alla merceologia, al trattamento industriale e al sistema di confezionamento. In questo periodo il produttore si impegna a garantire il mantenimento delle caratteristiche nutrizionali e organolettiche. La data ha quindi per questi alimenti un valore orientativo e il consumo posticipato di qualche settimana o qualche mese non determina problemi per la salute, anche se vale la pena considerare con attenzione i singoli casi.
Il Fatto Alimentare ha esaminato con specialisti e microbiologi le criticità del termine minimo di conservazione (Tmc) riportato sugli alimenti confezionati. Se in alcuni casi la data è troppo dilazionata nel tempo, in altri prodotti il consumo posticipato di 1-2 mesi non comporta quasi nessuna differenza.
I succhi di frutta hanno un intervallo variabile da 6 a 12 mesi, da molti considerato troppo generoso. Conviene consumarli prima visto che dopo 6 mesi le bevande perdono sapore. La stessa cosa vale per l’olio extravergine di oliva e il caffè macinato, di solito il Tmc è di 12-24 mesi, ma dopo un anno il cibo perde parte dell’aroma, che per questi alimenti ha un’importanza rilevante.
Pomodori pelati, salsa di pomodoro, tonno sott’olio, cetrioli, cipolle, conserve vegetali sottaceto e altri cibi in scatola, sono alimenti sterilizzati e possono tranquillamente essere consumati 3-4 mesi dopo la data sulla confezione.
Per i vegetali sott’olio come carciofini, funghi… (Tmc 18-24 mesi), bisogna stare attenti, perchè quando si consumano conserve “preparate in casa” c’è sempre il rischio botulino che può rappresentare un serio problema.
Anche per biscotti, cracker… (Tmc 6 -8 mesi) qualche settimana di ritardo non comporta problemi, al massimo risultano meno croccanti.
Panettone, pandoro e colomba (Tmc: 4-5 mesi) se vengono consumati con un ritardo di 1-2 settimane possono essere meno morbidi e fragranti, ma non ci sono altri problemi.
La pasta secca e il riso hanno una scadenza variabile (Tmc 24-30 mesi), ma non succede niente se vengono cucinati qualche mese dopo.
Pesce e piatti pronti surgelati non creano problemi anche se consumati 1-2 mesi dopo la data visto che vengono sottoposti a cottura. Al massimo si registra una perdita di sapore. Quando si tratta di gamberetti surgelati crudi e destinati ad essere mangiati tal quali in un cocktail con salsa rosa, conviene rispettare il termine minimo di conservazione (il rischio è un’eventuale crescita indesiderata di Listeria). Se invece verranno cotti, si possono consumare tranquillamente con 1-2 mesi di ritardo sulla data. In ogni caso lo scongelamento deve essere fatto in frigorifero e non a temperatura ambiente.
Cosa fare dopo l’apertura? Quando si apre la scatola di pelati, di tonno, il succo di frutta e sulla confezione compaiono scritte del tipo “dopo l’apertura consumare entro … giorni” oppure “dopo l’apertura conservare in frigorifero”. In questi casi conviene seguire l’indicazione, perchè il decadimento organolettico così come l’incremento della carica microbica può essere molto rapido. Quando il vasetto di marmellata conservato in frigorifero evidenzia delle muffe il prodotto non va consumato
Un discorso a parte merita la presenza di muffe nel vasetto di marmellata aperto o nella bottiglia di passata di pomodoro conservata in frigorifero. La regola dice di buttare via tutto, anche se lo strato di muffa è superficiale, perché tracce di muffa possono nascondersi in profondità e non sono visibili ad occhio nudo.
Un’ultima nota: i prodotti scongelati tenuti in frigorifero vanno cucinati entro 24 ore, mentre il pane fresco si conserva per settimane, ma va messo in freezer subito dopo l’acquisto, quando è ancora croccante, solo così nella fase di rinvenimento mantiene una buona fragranza.
da Sicurezza Alimentare Coldiretti e Il Fatto alimentare – 6 settembre 2013