Il Corriere della Sera. Se anche si dovesse passare al meccanismo della dose unica, resterà ancora valido il sistema delle precedenze previsto dall’attuale piano vaccinale. Prima i più anziani e i più fragili, quindi. E poi a scalare verso i più giovani in base alle fasce d’età. Naturalmente lasciando andare a esaurimento le vaccinazioni «di settore» già avviate, come quelle degli insegnanti, dei militari e dei poliziotti e degli altri servizi pubblici essenziali. Anche perché per loro si usa AstraZeneca, che non può essere utilizzato per le persone che hanno più di 65 anni.Il governo accelera sul piano vaccinale e già oggi potrebbe affidare al sottosegretario Franco Gabrielli anche la delega per la gestione della pandemia. Nel ruolo chiave sarà affiancato dal nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio che gestirà la somministrazione delle dosi.
La dose unica
La decisione vera e propria sull’eventuale passaggio al sistema della somministrazione unica non è stata ancora presa. La scelta è stata già fatta solo per le persone che il Covid lo hanno già avuto e sono guarite. Hanno gli anticorpi e una sola iniezione viene considerata sufficiente per proteggerli in modo adeguato. Per tutti gli altri la valutazione è in corso. E sembra esserci un vero e proprio scontro tra favorevoli e contrari, a livello scientifico prima ancora che politico. Difficile che si scelga questa strada per medici e infermieri, anche considerando il fatto che buona parte di loro ha già ricevuto la seconda dose e quindi il problema non si pone. Difficile anche per le persone con più di 80 anni, visto che sono le più fragili e anche quelle colpite più duramente dal Covid: l’età media dei morti è 81 anni. Anche qui, seppure con velocità molto diverse fra le Regioni, la campagna è già partita e sarebbe complicato cambiare le regole in corsa. Per tutti gli altri, però, la questione si pone. Anche se non proprio nell’immediato.
Una soluzione di fatto
Con l’eccezione degli over 80 e dei medici, la nostra macchina vaccinale sta già avanzando di fatto in regime di monodose. Per AstraZeneca, il vaccino riservato a insegnanti e militari, il richiamo ideale è previsto nel corso della dodicesima settimana. Nei fatti spesso si arriva anche più in là. Le prime immunizzazioni sono state fatte a inizio febbraio, quindi i primi richiami arriveranno tra due mesi. C’è tempo per decidere cosa fare. In ogni caso qui la dose unica sarebbe in linea di massima meno azzardata rispetto a Pfizer o Moderna, per medici e anziani. Da inizio aprile arriverà poi il quarto vaccino della Johnson&Johnson, prodotto dalla Janssen che è in tutto e per tutto un monodose. Inizialmente si era pensato di usarlo per i casi socialmente difficili, come i senza fissa dimora, per i quali già il primo appuntamento è un’incognita, figuriamoci il secondo. Ma potrebbe essere usato a tappeto, aprendo la strada alla strategia della monodose.
Un problema superato?
C’è però un’altra questione da tener presente. A partire da aprile il numero delle dosi a disposizione non dovrebbe esser più un problema. Tra aprile e giugno ne dovrebbero arrivare 64 milioni, di cui 9 milioni del monodose Janssen. Un «arsenale» sufficiente per immunizzare, chi con dose unica chi con doppia, 36 milioni di persone. Poco meno dei 42 milioni necessari per raggiungere l’immunità di gregge. Certo, ci potrebbero essere nuovi tagli alle forniture, visto che finora ci sono sempre stati. Ma in caso diverso il problema non sarebbe più avere le fiale a sufficienza, e nemmeno decidere se fare una dose oppure due. Ma procedere velocemente con le somministrazioni.
Le sentenze della Corte
E c’è anche un altro aspetto da considerare. Nell’accelerazione del piano vaccinale potrebbero avere un ruolo determinante anche due recenti sentenze della Corte Costituzionale a proposito di contrasto alla pandemia. In entrambe, una di gennaio e l’altra di febbraio, i giudici della Consulta mettono nero su bianco che la materia è quella della «profilassi internazionale», in base all’articolo 117, secondo comma, lettera q, della Costituzione e che dunque la competenza è esclusiva dello Stato. Insomma la lotta al Covid-19 non rientra nella materia della sanità, che è ripartita fra Regioni e Stato.
Si tratta di un cambio di paradigma radicale rispetto all’ultimo anno e al confronto costante fra governo e Regioni, un confronto che spesso ha reso il sistema poco efficiente, per non parlare di contrasti aperti fra i governatori e Palazzo Chigi. Ora il governo guidato da Mario Draghi sta studiando le sentenze. Il piano diventerà più omogeneo, con maggiori poteri affidati alla Protezione civile e un ruolo e un’autonomia delle Regioni in qualche modo depotenziato.