Non è una gran fortuna nascere aragosta. Non tanto per il destino gastronomico, peraltro comune a molti altri animali, quanto per la consuetudine di finire nella pentola di acqua bollente ancora vivi. Per questo astici e simili vengono tenuti il più possibile, per così dire, in salute; spesso in frigorifero, a volte su letti di ghiaccio.
E in tali condizioni erano i tre esemplari sul banco del mercato settimanale di Montebelluna, Treviso. Finché un’anima buona ha pensato di chiamare vigili e veterinari dell’Asl. I tre astici così non sono finiti in tegame ma (temporaneamente) sotto sequestro. Il codice penale sembrerebbe dalla loro parte, almeno in due articoli: quello sul maltrattamento degli animali (544) e soprattutto quello che punisce «chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze» (727, comma 2). Il pescivendolo trevigiano è stato pertanto denunciato anche se il pm, il giorno dopo, non ha convalidato «il fermo» dei crostacei e li ha restituiti al loro futuro culinario.
Insomma, non è una gran fortuna nascere astice o aragosta. Anche perché l’interpretazione delle leggi è ondivaga. A Vicenza, per esempio, il Tribunale sei anni fa diede ragione al ristoratore che si fece forte anche della perizia di un eminente ordinario di zooculture: «I crostacei non elaborano la sofferenza, inoltre il ghiaccio ha la funzione di sedativo». A Firenze, l’anno scorso, i giudici si chiesero se per «crostacei, che per consuetudine sociale sono destinati al consumo mediante cottura da vivi, sia possibile parlare di maltrattamenti». La risposta in quel caso fu affermativa, riconoscendo all’astice il diritto di essere «ben trattato» in modo da arrivare in ottima forma all’appuntamento con lo chef.
Resta la domanda: i crostacei soffrono davvero? Patrizia Torricelli, ecologa alla Ca’ Foscari di Venezia, non ha dubbi: «Sono invertebrati eterotermi, non hanno un controllo delle temperature. In quelle condizioni i flussi corporei si alterano fino a far ghiacciare il sangue. Sicuramente è uno choc fisiologico».
Michele Favaron ne è talmente convinto che da guardia dell’Enpa va a caccia dei torturatori di chele e carapaci: «Le cattivi abitudini son dure a essere sconfitte». E ricorda che lo scrittore David Foster Wallace, dopo una visita al Festival dei crostacei del Maine, sentì il bisogno di scrivere il saggio Considera l’aragosta . «È possibile — si domanda tra l’altro Wallace — che le generazioni future guarderanno alle nostre attuali pratiche mangerecce in modo del tutto simile a come oggi noi vediamo gli spettacoli di Nerone o gli esperimento di Mengele?».
Riccardo Bruno – Il Corriere della Sera – 13 gennaio 2016