di Ignazio Marino. La riduzione dei finanziamenti alla sanità pubblica è stata fatta in modo assurdo. Con il risultato che mancano posti letto e barelle, mentre si sprecano milioni per strutture e reparti inutili
Ambulanze ferme per ore con i pazienti bloccati nelle lettighe per la mancanza di posti letto e persino di barelle nei pronto soccorso. Così la rete dell’emergenza di Roma è andata in tilt pochi giorni fa, per l’ennesima volta, dimostrando quanto sia urgente intervenire prima che sia troppo tardi. Troppo tardi perché ogni volta che sui giornali si denuncia il malfunzionamento della sanità, c’è qualcuno che credendosi saggio afferma: «Non possiamo più dare tutto a tutti». Può darsi, ma la sostenibilità non si ottiene con tagli continui e indiscriminati, e neanche ricorrendo alle assicurazioni che tendono ad alimentare un’assistenza a due velocità: una privata per chi ha maggiori disponibilità economiche e una pubblica, impoverita di strumenti e professionalità, per chi l’assicurazione non se la può permettere.
CERTAMENTE non si può perseverare con le gestioni disastrose, con gli sprechi, con il malaffare, e neanche con i comprensibili ma negativi comportamenti difensivi dei medici che spesso prescrivono esami e visite solo per paura delle denunce. Il principio da salvaguardare non è quello di dare tutto a tutti ma di garantire tutto ciò che è necessario a chi davvero ne ha bisogno. E per fare questo occorre entrare nel merito dei problemi. La situazione del Lazio, che insieme alla Campania rappresenta il 60 per cento del deficit sanitario, è paradigmatica. Bastano pochi esempi: le unità operative complesse, ovvero i reparti con a capo un primario, sono 1.600. Tutti davvero necessari? Al policlinico Umberto I ci sono una ventina di laboratori di analisi quando ne basterebbe uno solo dotato di tutte le tecnologie e le risorse umane necessarie. Le strutture di emodinamica nel Lazio sono 35 ma solo sei sono operative 24 ore su 24 e proprio per questo, a Viterbo nel 2009, una persona colpita da infarto è morta tra Natale e Capodanno perché erano giorni festivi e le attrezzature salvavita erano chiuse in un reparto deserto. Non è accettabile. Ma ci sono anche 74 letti di chirurgia maxillo-facciale dove vengono curati circa 3.700 pazienti l’anno, meno di uno a settimana per posto letto, per non parlare dei cinque centri per il trapianto di fegato che tutti insieme eseguono meno interventi dell’unico centro di Torino o di Pisa. Non è solo una questione di costi: la scienza ha dimostrato il preciso rapporto tra numero delle prestazioni e successo nei risultati. Per questo, nell’interesse della salute delle persone, sarebbe logico concentrare le terapie ad alta specializzazione solo nei centri più attivi. Nessuno però sembra ritenere importante questo fattore e, infatti, nei tagli proposti dal commissario nominato dal governo sono finiti anche i reparti che hanno lavorato molto bene. Creando grande agitazione tra i pazienti e tra i lavoratori.
Invece di concentrarsi sui tagli indiscriminati, che non tengono conto dei risultati e cioè delle vite salvate, è il momento di iniziare ad aggregare e integrare, evitando la dispersione e attuando reti di collaborazione tra gli ospedali. E’ ora di intervenire sui reparti più costosi, come ad esempio i centri trapianto, le cardiochirurgie e le neurochirurgie, stabilendo chi fa cosa e organizzando turni per le emergenze. Lo si fa a Parigi dove di notte c’è un unico ospedale di guardia per le emergenze neurochirurgiche. E lo si è fatto a Los Angeles dove piccole strutture inefficienti sono state sostituite da elicotteri che rapidamente trasportano i pazienti con patologie urgenti in un ospedale ad altissima tecnologia. Con costi inferiori e risultati migliori.
TUTTO QUESTO PASSA anche per costanti e rigorose verifiche sui budget, sui costi di acquisto di beni e servizi, avviando anche una grande “operazione trasparenza” verso i cittadini rispetto alla qualità delle cure negli ospedali. Infine servono i controlli che un’autorità nazionale, indipendente dalla politica, dovrebbe fare con il mandato di intervenire nel caso di anomalie amministrative o cliniche. Soluzioni da introdurre nelle regioni più in crisi ma anche nel resto d’Italia per non cedere al rischio di indebolire una delle più grandi conquiste democratiche del nostro Paese.
Ignazio Marino – L’Espresso – 24 gennaio 2013