Chiara Bussi. Ha già dieci anni di vita, ma i suoi effetti sono ancora ben visibili e hanno rivoluzionato i modelli di consumo in tempo di crisi. È la sindrome della «quarta settimana» diagnosticata nel 2004: la tendenza a concentrare la spesa all’inizio del mese, riducendo al minimo gli acquisti nell’ultima parte, quando le casse familiari sono a corto di ossigeno. Negli ultimi sette giorni del mese – come rivelano le elaborazioni effettuate da Iri sulla grande distribuzione – le vendite di bevande e birra crollano del 3,3% rispetto a quelle precedenti.
Calano anche gli acquisti di prodotti per l’igiene personale che segnano -2,6%: quando il versamento dello stipendio si allontana lo shopping di creme e detergenti può attendere. Così come non si spende per i prodotti per la pulizia domestica, che registrano una flessione del 2,2 per cento. Si rinuncia anche agli articoli di cartoleria e all’intimo, sempre più spesso esibiti tra gli scaffali. A differenza del 2004, però, resiste l’alimentare. Allora una delle spie evidenti era stato il crollo fino al 10% dellevenditedicarneelatticininell’ultima settimana; oggi, invece, questa voce segna solo una leggera flessione dello 0,3 per cento.
«I sintomi percepiti nel 2004 – spiega Gianpaolo Costantino, direttore della divisione consulenziale Iri – sono diventati una vera e propria malattia e il fenomeno della quarta settimana sta diventando strutturale. I consumatori, però, si sono nel frattempo evoluti, sono diventati più consapevoli e responsabili e, se occorre, rinunciano alle voci di spesa meno prioritarie».
Gli fa eco il presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli: «Per le famiglie più esposte alla crisi – dice – il fenomeno della quarta settimana continua a esistere e si è accentuato negli anni della crisi, che ha inciso profondamente sui modelli di acquisto e consumo. I cambiamenti che sono avvenuti in questi anni rischiano di permanere nel tempo». Il consumatore, però, «è diventato più razionale: ha imparato a comprare solo quello di cui ha realmente bisogno e per ogni prodotto cerca il prezzo più coerente con la qualità che vuole». Per farlo non si ferma alla prima mèta, tanto che, secondo Iri, visita in media 3,7 punti vendita al mese.
Il consumatore di oggi, inoltre, non può permettersi il lusso di improvvisare e va al supermercato con la lista della spesa e le idee chiare, tanto che il 90% degli intervistati dichiara di seguire le indicazioni dei volantini inviati dalle grandi catene a casa oppure online. Dieci anni fa la percentuale si fermava al 54 per cento. La pressione promozionale in Italia ha un peso maggiore (dal 18,4% del 2000 al 29,1% nei primi quattro mesi del 2014, secondo l’ultimo rapporto Coop), ma il cliente della grande distribuzione, fanno notare da Esselunga, «è attento alle offerte, ma non fa scorte». Un’altra differenza rispetto al 2004, quando si costituivano veri e propri stock guidati dalle promozioni, come il cosiddetto «3 x 2» che si traduceva in uno sconto del 33% e obbligava all’acquisto di tre prodotti. «Oggi – spiegano da Esselunga – le promozioni più efficaci sono i tagli del prezzo del 40 e 50 per cento» o lo sconto personalizzato su un paniere di prodotti.
Secondo Albino Russo, responsabile dell’ufficio studi economici Coop, «è in atto un vero e proprio cambiamento culturale: tramonta l’edonismo dello “spendo dunque sono”, dei consumi utilizzati per costruire un’identità, si cambia registro e si fa di necessità virtù. Si riducono le quantità e il superfluo, ma c’è una maggiore attenzione al benessere e al differenziale qualitativo del prodotto». Tutte tematiche che accompagneranno la strategia del marchio nel 2015.
Sul fronte macroeconomico, intanto, si intravede un piccolo barlume di schiarita. «Alla luce dei dati disponibili – spiega Fedele De Novellis, economista senior di Ref Ricerche – dovrebbe essere un 2014 di leggero incremento dei consumi, un timido segno positivo dopo il crollo registrato nel biennio 2012-2013. Qualche decimo di punto in più si potrà recuperare anche nel 2015 grazie agli 80 euro in busta paga e all’anticipo di Tfr». È invece critico con le soluzioni adottate dal governo Daniele Tirelli, presidente di Popai Italia: «Ogni nucleo familiare ha una sua storia particolare e una sua problematica. Non si possono accomunare le situazioni e risolverle con misure di carattere generale invocando più spesa pubblica. Sulle situazioni di indigenza, si dovrebbe agire in modo mirato su chi ne ha davvero bisogno e nulla ad altri. Gli 80 euro a pioggia sono una terapia “populista” inefficace. Vanno anche a chi non ne ha bisogno e ignorano parte degli indigenti».
Il Sole 24 Ore – 24 novembre 2014