La crescita dell’1% messa in programma per l’anno prossimo dal governo nella nota di aggiornamento al Def è un obiettivo «ambizioso» ma «realizzabile». Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan risponde così alle obiezioni dell’Ufficio parlamentare del bilancio, l’Authority dei conti che l’altro ieri ha prospettato la mancata validazione del quadro programmatico ipotizzato dal governo, e alla prudenza di Bankitalia che sempre lunedì aveva appunto definito «ambizioso» il programma governativo. «Tutti gli anni è la solita solfa – taglia corto il premier Matteo Renzi nel corso di un’intervista a Radio Capital -, ed essendo previsioni vedremo tra un anno chi si sbaglia».
Al centro delle discussioni, riprese ieri dal titolare dell’Economia nel corso dell’audizione alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, c’è il forte effetto di spinta che le misure previste in manovra, dal blocco degli aumenti Iva agli incentivi fiscali per gli investimenti, secondo il governo dovrebbero produrre l’anno prossimo, portando la crescita dallo 0,6% tendenziale (cioè senza legge di bilancio) all’1% programmatico. «Non è una scommessa», ha ribattuto il ministro dell’Economia, aggiungendo anzi che «i moltiplicatori sono difficili da stimare» in un contesto di inflazione e tassi piatti, e che a consuntivo potrebbero esserci «sorprese positive».
L’allerta dell’Ufficio parlamentare del bilancio, però, agita il Parlamento, e non solo dalle parti dell’opposizione che chiede di «riscrivere la nota di aggiornamento con numeri credibili» (così il capogruppo di Fi alla Camera Renato Brunetta) e accusa il governo di aver scritto cifre «inventate» (lo ha detto Stefano Fassina, di Sinistra Italiana, suscitando la richiesta di «più rispetto» da parte di Padoan). Sul tema interviene anche la minoranza Pd, che con Federico Fornaro chiede di sospendere l’esame della nota in commissione fino al chiarimento fra governo e Upb. E Francesco Boccia (Pd), che oltre a presiedere la commissione Bilancio della Camera è stato il primo firmatario della riforma della legge di bilancio statale, chiede di far slittare il voto in Aula sulla nota, messo in calendario per l’11 ottobre, accusando il governo di non aver rispettato le nuove regole. «Se la legge fosse stata rispettata – spiega – l’Upb avrebbe avuto tutti gli elementi per fare le valutazioni e forse non saremmo in queste condizioni».
Anche Padoan ha spiegato le distanze fra le previsioni governative e i giudizi dell’Upb con la mancata disponibilità di «tutte le informazioni» sulle misure della manovra, ma è la stessa legge sul pareggio di bilancio (articolo 18, comma 3 della legge 243/2012) a chiarire i possibili sviluppi. In caso di obiezioni dell’Upb, basta un terzo dei componenti delle commissioni per chiedere al governo di tornare in Parlamento per spiegare le ragioni per cui intende andare avanti sulla propria strada oppure adeguarsi alle stime dell’Authority. L’esito è quasi scontato, vista la temperatura della discussione, ma il calendario rimane strettissimo, anche alla luce del fatto che il presidente del consiglio conferma l’intenzione di approvare la manovra entro il 15 ottobre; il governo avrebbe in realtà tempo fino al 20, perché alla fine della prossima settimana scade “solo” il termine per inviare a Bruxelles con l’obiettivo di saldo di bilancio e le proiezioni di entrate e spese.
Sul versante europeo, nel frattempo, è in corso quello che Padoan definisce «un dialogo continuo con gli organismi della commissione» per respingere l’idea del «braccio di ferro». In gioco c’è lo 0,4% di deficit aggiuntivo che l’Italia chiede sulla base delle «circostanze eccezionali» rappresentate dal terremoto di agosto e dal fenomeno migranti. La partita è aperta, e in attesa di un risultato a oggi tutt’altro che scontato ieri è intervenuto il capogruppo del Pse al parlamento di Strasburgo, Gianni Pittella, spargendo ottimismo: il confronto con Upb, Bankitalia e Corte dei conti poggia secondo Pittella su «valutazioni interlocutorie», che non avranno conseguenze in Europa perché «un no della commissione sarebbe assurdo».
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 5 ottobre 2016