Il prossimo sarà l’anno della riduzione delle tasse per le imprese. Insieme al taglio dell’aliquota Ires sui redditi, che passerà dal 27,5 al 24%, arriveranno l’Iri, sempre al 24%, per le imprese individuali e, per quelle più piccole con la contabilità semplificata, scatterà la tassazione per cassa, dunque sulle fatture effettivamente incassate.
Per avere una riduzione delle loro imposte, invece, le famiglie dovranno aspettare il 2018, quando sarà la volta della sforbiciata all’Irpef. Per il 2017 dovranno accontentarsi di non veder aumentare l’Iva.
Per quanto riguarda le pensioni, ieri il premier a «Quinta colonna» su Rete4 ha detto, illustrando il «patto della lavagna», che «alle pensioni minime, a quelli che arrivano fino a 750 euro, viene data oggi una quattordicesima, circa 40 euro al mese. A questi raddoppiamo la quattordicesima, in un’unica soluzione». Oggi chi incassa 750 euro di pensione intasca 40 euro al mese di quattordicesima, pari a 480 euro l’anno. Con il raddoppio la quattordicesima potrebbe salire a 960 euro l’anno. Se i progetti allo studio saranno confermati, i contribuenti potrebbero anche beneficiare di una riduzione dei debiti fiscali. Sul piatto dell’esecutivo, in vista della manovra per l’anno prossimo, c’è infatti anche una nuova rottamazione, ben più spinta di quella varata con la legge di Stabilità del 2014, delle cartelle Equitalia. Non si tratterebbe di una sanatoria, perché il piano prevede il pagamento di tutte le imposte dovute, ma con la cancellazione di interessi di mora, sanzioni e aggio di riscossione. La differenza rispetto alla minirottamazione del passato è la rateizzazione. Allora si potevano evitare interessi e sanzioni solo pagando le cartelle in unica soluzione. Questa volta si pensa alla loro rateizzazione, anche se su un periodo massimo di tre anni. Oggetto dello sgravio sarebbero anche le cartelle già rateizzate, e in corso di pagamento. La rottamazione, oltre a dare una boccata di respiro ai contribuenti, servirebbe a pulire anche i conti di Equitalia. Tra il 2000 e il 2015 le sono stati affidati 1.000 miliardi di euro di crediti da incassare: di questi ne sono stati riscossi appena 81 e rateizzati 25, e se si eccettuano altri 51 miliardi che secondo l’agenzia possono essere recuperati, tutti gli altri sono considerati inesigibili. La nuova rottamazione potrebbe essere inserita già nella legge di Bilancio attesa per il 20 ottobre, mentre oggi arriverà la nota di aggiornamento al Def. Anche se non si esclude un provvedimento ad hoc, che potrebbe introdurre contestualmente anche nuove norme contro l’evasione, se non anche la riedizione della Voluntary Disclosure , la procedura per l’emersione dei capitali detenuti illecitamente all’estero che ripartirà nel 2017. Dopo i 4 miliardi incassati l’anno scorso, con la Voluntary bis potrebbe essere realizzato un gettito di un paio di miliardi di euro. L’anno prossimo, in ogni caso, il piatto forte del Fisco sarà il nuovo regime per le imprese in contabilità semplificata, che potranno pagare le imposte per «cassa» e non più per «competenza», quindi sul fatturato effettivo. Si applicherebbe alle imprese individuali con un fatturato fino a 400 mila euro nel settore dei servizi e 700 mila nel commercio.
Per le aliquote Irpef bisognerà invece attendere il 2018. Sulla carta lo spazio ci sarebbe, e abbondante. Tra il 2017 e il 2018 il disavanzo pubblico si riduce, senza ricorrere ad altri interventi rispetto a quelli già programmati, di oltre un punto di Pil. C’è un margine teorico di circa 18 miliardi di euro con i quali sarebbe possibile finanziare uno sgravio Irpef di portata mai vista. L’occasione per abbattere la pressione fiscale è ghiotta e il governo non vuol lasciarsela sfuggire. Per questo Renzi vorrebbe blindare gli sgravi del 2018 già nella prossima legge di Bilancio. A Padoan il compito di definirne la portata, verificando la loro praticabilità con Bruxelles. Anche in chiave elettorale, tra Irpef e rottamazione delle cartelle Equitalia, la partita per Renzi è importante.
E l’anticipo previdenziale potrebbe costare di meno
Scende il costo dell’Ape, l’anticipo pensionistico allo studio del governo per consentire di lasciare il lavoro con tre anni e sette mesi di anticipo rispetto al previsto. Chi sceglierà volontariamente questa strada subirà un taglio della pensione netta appena sotto il 6% per ogni anno di anticipo, compresi interessi bancari e assicurazione. Oltre un punto in meno rispetto all’ultima versione. La novità è dovuto al fatto che, con un costo più alto, l’Ape sarebbe stata poco appetibile con il rischio di rimanere quasi inutilizzata. I dettagli saranno discussi nell’incontro fra governo e sindacati che si terrà domani, dopo il rinvio di un giorno causa concomitanza con il Consiglio dei ministri di oggi. L’ultimo nodo da sciogliere riguarda il bonus che consentirebbe di andare prima in pensione ai precoci, le persone che hanno cominciato a lavorare prima dei 18 anni. Probabile che la categoria venga ristretta ai «super precoci», quelli che hanno cominciato a lavorare prima dei 16 anni. A loro verrebbe garantito un mese di contributi gratis per ogni anno di lavoro. I sindacati chiedono un bonus più corposo, fino a tre mesi l’anno. Il governo tiene il punto, anche per risparmiare qualcosa. In tutto, il pacchetto pensioni da inserire nella legge di Bilancio dovrebbe costare 1,7 miliardi di euro nel 2017, 2 miliardi nel 2018 e 2,4 nel 2019.
Il Corriere della Sera – 27 settemvbre 2016