Via libera al contributo di solidarietà sulle “pensioni d’oro”, previsto dalla legge Finanziaria approvata dal governo Letta nel 2014 con durata triennale e «giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema». Prelievo che, dopo la decisione di ieri della Corte costituzionale, potrebbe anche essere riproposto dal governo Renzi, purché nel rispetto dei paletti fissati dalla giurisprudenza costituzionale, ribaditi ieri: eccezionalità, temporaneità, ragionevolezza.
Per saperne di più bisognerà leggere le motivazioni di questa attesa decisione. Che, sebbene – curiosamente – il comunicato stampa non ne parli, riguarda anche l’altra disposizione impugnata della Finanziaria-Letta, quella sulla revisione al ribasso dell’adeguamento Istat degli assegni pensionistici al costo della vita. Anch’essa, dunque, non fondata.
Il testo del comunicato si limita ad affermare che la Corte «ha respinto le varie questioni di costituzionalità relative al contributo, che scade nel dicembre 2016, sulle pensioni di importo più elevato, escludendone la natura tributaria e ritenendo che si tratti di un contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema. La Corte ha anche ritenuto che tale contributo rispetti il principio di progressività e, pur comportando innegabilmente un sacrificio sui pensionati colpiti, sia comunque sostenibile in quanto applicato solo sulle pensioni più elevate, da 14 a oltre 30 volte superiori alle pensioni minime». Punto.
A rivolgersi alla Consulta erano state sei sezioni regionali della Corte dei conti, a seguito di ricorsi di ex magistrati, ex professori universitari e dirigenti di enti pubblici e privati. Le disposizioni incriminate erano contenute nel comma 486 dell’articolo 1 della legge 147/2013, sul contributo di solidarietà, nonché nel comma 483 del medesimo articolo, che disciplina, sempre per il triennio 2014-2016, «la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998 n. 448». Secondo la Corte dei conti (sezione di Reggio Calabria), anche questa disposizione dissimulava «l’introduzione di una misura volta a realizzare un introito per l’Erario sotto forma di un risparmio realizzato forzosamente mediante la compressione di un diritto (quale quello all’adeguamento dei trattamenti) attribuito in via tendenziale ai pensionati». Si trattava, in buona sostanza, di «una sorta di ulteriore prelievo fiscale settoriale», come nel caso del contributo di solidarietà, «dissimulato». Ma la Consulta non ha condiviso queste censure.
I motivi li leggeremo quando il giudice Rosario Morelli depositerà la sentenza. E vedremo se la Corte ha seguito o meno il filo del ragionamento della Presidenza del Consiglio. Che, insieme all’Inps, aveva chiesto anzitutto l’inammissibilità delle questioni sollevate (sostanzialmente perché mal motivate) e, in via subordinata, la loro infondatezza. Peraltro, qualora la Consulta avesse invece ravvisato l’incostituzionalità delle norme impugnate, l’Avvocatura dello Stato la invitata a modularne gli effetti «anche sotto il profilo temporale» – sull’esempio della sentenza sulla Robin tax, n. 10 del 2015 – in modo da contenerne l’impatto sul bilancio dello Stato (ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione), valutando quindi di far decorrere gli effetti dell’incostituzionalità soltanto dal giorno della pubblicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale. Ma non ce n’è stato bisogno, perché la Corte (in formazione ridotta per l’assenza del giudice Giuseppe Frigo) ha promosso in pieno la manovra di Letta, dichiarando non fondate e inammissibili le censure sul prelievo di solidarietà progressivo sulle pensioni “d’oro”, oltre i 91mila euro annui, e sulla revisione al ribasso, anch’essa progressiva, dell’adeguamento Istat degli assegni al costo della vita (entrambe per il triennio 2014-2016).
In passato, misure analoghe erano state bocciate dalla Corte (si veda la sentenza n. 116 del 2013) ma quelle introdotte dal governo Letta contenevano dei correttivi proprio per non incorrere nella medesima censura, in primis quella di dissimulare un prelievo di natura tributaria. Correttivi promossi con la decisione di ieri.
Donatella Stasio – Il Sole 24 Ore – 6 luglio 2016