Dalla ventennale guerra delle banane alle rivendicazioni della Norvegia sulla libera circolazione dei suoi salmoni. Molti Paesi si rivolgono alle autorità internazionali per difendere i loro prodotti di punta. Non mancano dispute originali, ma in molti casi si fa sul serio, come sulle terre rare che oppongono la Cina al resto del mondo
Europa e Cina si sfidano a colpi di dazi sul commercio di pannelli solari e vino. E alzano il velo sul catalogo di dispute che pendono sulle scrivanie del Wto, l’Organizzazione internazionale del commercio. Molti di questi faldoni riguardano direttamente l’Europa.
Una delle dispute più celebri è stata la ‘guerra delle banane’, che si è protratta per quasi vent’anni fino alla conclusione del novembre 2012. Ha visto opposti da una parte i dieci Paesi Sudamericani produttori del frutto, dall’altra il Vecchio Continente – accusato di privilegiare l’importazione dal bacino dell’Africa e del Pacifico in seguito ad antichi rapporti coloniali -. Quando si è firmato l’accordo, in seguito a un indicazione di massima messa nero su bianco a Ginevra nel 2009, Bruxelles ha accettato di ridurre le tariffe sulle importazioni e l’allora direttore generale del Wto, Pascal Lamy, ha parlato di “momento realmente storico”.
Sulla scrivania di chi si occupa di Commercio alla Commissione Europea, dal 2006, giace ancora una consultazione avviata per volontà dell’Argentina sulle tariffe per l’importazione dell’aglio. Secondo Baires, infatti, l’Unione si sarebbe accordata in maniera illecita per agevolare il flusso dalla Cina e così facendo avrebbe disatteso le norme internazionali sulla concorrenza. Argentina ed Unione Europea sono contro anche nell’ultimo caso censito dalla banca dati del Wto, che riguarda il presunto supporto illegale ai produttori di biodiesel e l’incentivazione delle fonti energetiche alternative da parte di alcuni Stati membri dell’Unione. Perù ed Ue si sono trovate l’una contro l’altro armati sulla necessità di identificare o meno le sardine provenienti dal Paese americano – nome scientifico “sagax sagax” – piuttosto che esportarle come generiche sardine. L’indicazione del nome latino ha sciolto le riserve di ambo le parti.
Restando all’ittico, la Norvegia non poteva che salire sulle barricate per difendere la libera circolazione del suo salmone – minato dall’introduzione di prezzi minimi all’importazione – nei banchi del pesce dell’Unione. Sempre in campo alimentare, la Tailandia ha lamentato problemi circa la classificazione dei petti di pollodisossati, mentre la Corea ha avuto da ridire in più occasioni sugli aiuti alla cantieristica e ai costruttori di navi mercantili. Certo, Bruxelles non è stata a guardare in tutto questo tempo: ha accusato le Filippine di applicare tasse sui liquori dalle 10 alle 40 volte più alte rispetto al trattamento riservato ai prodotti domestici. Ancora irrisolto, e si torna di nuovo alla Cina, il problema delle terre rare: in questo caso Bruxelles si è alleata con Giappone e Usa nel primo ricorso congiunto della storia e ha puntato il dito contro i dazi imposti da Pechino alle esportazioni di questi materiali, i diciassette elementi fondamentali per l’industria tecnologica di cui l’ex Celeste Impero ha praticamente il monopolio.
Repubblica – 9 giugno 2013