Sorpresa durante un’escursione a Bocca Navene, lungo la strada Graziani: il plantigrado è sbucato dal bosco. Marco Voi: «Ho pensato subito a un grosso cane, le urla lo hanno fatto scappare, era lui ad avere più paura. Poi si è fermato su una roccia»
L’orso bruno fermo su una roccia: il plantigrado, dopo essere inizialmente fuggito, si è fermato incuriosito e si è lasciato fotografare Bocca di Navene. La passeggiata alla balconata di Bocca di Navene, sul monte Baldo, per godersi il tramonto sull’arco delle Alpi ha aggiunto sabato scorso alla famiglia Voi di Villafranca l’emozione unica dell’incontro ravvicinato con un orso bruno. Marco, ingegnere elettronico, e sua moglie Beatrice, insegnante di storia dell’arte in un liceo, con i loro figli Edoardo e Michelangelo, rispettivamente di otto e cinque anni, stavano tornando verso l’auto quand’erano circa le 19.45. Erano sulla strada Graziani nel mezzo del bosco di faggi, poco prima del bivio con la strada che porta all’arrivo della funivia di Malcesine a Tratto Spino, quando hanno scorto in lontananza un ammasso di pelo sul ciglio della strada. «Per la verità ho pensato subito a un grosso cane, perché erano quelle le dimensioni», racconta Marco, «tant’è che mi sono guardato attorno per vedere se c’era il padrone che potesse tenerlo a bada». Invece ancora pochi passi e l’immagine si è ben definita davanti agli occhi: non era un cane, ma un orso, non molto grande, poco più alto di un metro, forse un cucciolo, ma inequivocabilmente un orso. La prima ad accorgersene è stata Beatrice che, prendendo per mano i figli, ha gridato, più per la meraviglia che per lo spavento «È un orso, è un orso!». «Sono state le sue urla ad allarmare l’orso, che probabilmente si è spaventato più di noi mentre se ne stava tranquillo a bordo strada, ma di fronte a tanto schiamazzo se l’è data a gambe levate nella direzione opposta, sempre seguendo la strada Graziani», precisa Marco. La famiglia era arrivata nel frattempo a pochi passi dall’auto e tutti sono saliti a bordo: «In realtà l’abbiamo fatto per precauzione, perché l’animale mi era sembrato piccolo e ho pensato che nei dintorni potessero esserci la madre o altri esemplari adulti. Poi, dopo un tratto di corsa l’orso si è fermato, sempre sulla strada». È allora che hanno capito che anche il plantigrado, ripresosi dalla meraviglia di non essersi accorto di avere un gruppo di turisti così vicini, si era fermato e li stava osservando. «Ho acceso l’auto e ci siamo diretti verso l’orso per avvicinarci il più possibile, mentre tenevo a portata di mano la macchina fotografica. Siamo riusciti ad arrivare fino a una trentina di metri prima che decidesse di lasciare la strada e inoltrarsi nel bosco». Però la meraviglia non era finita perché l’orso, quasi avesse intuito che uno scatto regalato alla famigliola sarebbe stato molto gradito, si è come messo in posa su una roccia sporgente, lasciandosi riprendere per alcuni secondi, prima di abbandonare il set e allontanarsi nel bosco, dopo aver concesso una decina di foto. I bambini erano ammutoliti sui sedili posteriori, «ma per nulla spaventati, perché si erano resi conto che la nostra eccitazione di genitori non era dovuta al terrore per quell’incontro ma alla rarità dell’evento e alla voglia di riprenderlo con la fotocamera», aggiunge il papà. Lui in questi luoghi è praticamente cresciuto, perché la sua famiglia ha una casa di vacanze a San Valentino di Brentonico da quand’era piccolo: «Mi è sempre piaciuta la montagna e ci porto volentieri la famiglia in ogni stagione, anche nei fine settimana. Ho incontrato decine di animali selvatici, ma è la prima volta che mi capita l’orso. Qualcuno dei vicini ha raccontato di averne visto le impronte ma nessuno finora aveva avuto un contatto così diretto e ravvicinato», ammette. Un’esperienza che non ha incrinato il suo rapporto con la fauna selvatica: «Portiamo spesso i bambini a camminare e non mancano gli incontri con le marmotte e gli scoiattoli. Questa volta hanno avuto la grande fortuna di essere quasi a contatto l’orso e hanno capito quanto siano immotivate certe paure: si è visto chiaramente che era lui ad avere più paura ad incontrare noi», conclude Marco.
L’arena – 17 maggio 2012