Gentile direttore, il report di Enrico Marro sulla nostra sanità pubblicato dal Corriere ci fornisce un quadro sconcertante.
Riassumo quanto letto:
sprecheremmo 22,5 miliardi l’anno in prescrizioni inutili, errori medici, truffe e sprechi in generale;
forniremmo gratis ai nostri cittadini prestazioni sanitarie inutili e ne negheremmo di utili;
nello stesso tempo spenderemmo meno di tutti gli altri Paesi europei.
Onestamente queste tre cose non mi sembra riescano a stare tutte e tre insieme. Va detto che insieme non le ha messe il cronista ma la ricerca del Gimbe sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, alla quale l’articolo fa riferimento.
Il primo dato da «smontare», nel senso di analizzarlo al meglio senza prenderlo alla lettera, è quello del 20% di spesa sanitaria che andrebbe dilapidata in «sprechi e inefficienze», ovvero, se applicata all’Italia circa 22,5 miliardi di euro. Ebbene quel 20%, citato dall’Ocse in un suo recente studio finalizzato a fornire agli Stati membri elementi di supporto per le loro politiche di ottimizzazione della spesa sanitaria (tra le quali, per inciso, l’Italia è citata più volte come esempio virtuoso dalla stessa Ocse), deriva a sua volta da uno studio statunitense calato nella realtà degli Usa e della loro spesa sanitaria, che ha come sappiamo un sistema e valori economici molto diversi (gli Usa spendono, in rapporto al Pil, tre volte più di noi). Trasferire quel 20% in automatico alla nostra realtà è azzardato, se non altro perché vorrebbe dire, visto che già spendiamo meno di molti altri Paesi europei, che potremmo addirittura «cavarcela» con 22 miliardi in meno di spesa sanitaria «inutile»! Mi sembra per l’appunto un po’ azzardato.
Il secondo dato da riconsiderare è quello sul presunto «definanziamento» della nostra sanità. Vorremmo più risorse di quante ne mettiamo ogni anno nel piatto? Figuriamoci se non le vorrei anch’io, ma da qui a dire che questo Governo e i due che l’hanno preceduto abbiano tagliato la spesa ce ne passa.
Dal 2013 al 2017 il Fondo Sanitario è cresciuto di ben 6 miliardi di euro, passando dai 107 miliardi del 2013 ai 113 miliardi del 2017, senza dimenticare che per il 2018 è previsto un ulteriore incremento di 1 miliardo di euro. Che poi l’Italia abbia una quota — in percentuale del Pil — di spesa sanitaria inferiore rispetto agli altri principali Paesi europei è un dato di fatto, ma questo, in sé, dice poco, in quanto gli indicatori di stato di salute e di qualità dell’assistenza in Italia rimangono fra i più elevati sul territorio Ue (basti pensare che per l’aspettativa di vita l’Italia è al secondo posto in Europa). Segno evidente che la spesa sanitaria si sta assestando su parametri di sempre maggiore efficienza ed efficacia.
Ciò detto, è evidente che per la sanità italiana sussistano ulteriori margini di miglioramento, ma è altrettanto evidente che molto è stato fatto negli ultimi anni in termini di recupero di efficienza e di crescita della qualità dei servizi. Cito, ad esempio, il Patto per la Salute, i nuovi Livelli essenziali di assistenza, il Piano anticorruzione sottoscritto con l’Anac, il Piano cronicità, il riordino della rete ospedaliera, lo sblocco delle assunzioni, la centralizzazione degli acquisti e la scomparsa della politica fondata sui tagli lineari. Il Governo ha, inoltre, previsto fondi dedicati al finanziamento dei farmaci innovativi (es. Epatite C), un unicum al mondo.
Altro aspetto rilevante riguarda la stima richiamata nell’articolo della spesa «out of pocket», anch’essa basata su dati tutti da verificare, che ad oggi non consentono di capire a quali prestazioni sanitarie ci si riferisca.
Ancora oggi, purtroppo, scontiamo gli errori del passato determinati da quella sovrapposizione, tra un vero e auspicato decentramento e un federalismo mai compiuto, sfociato in forme radicali di regionalismo che in molti dei casi hanno prodotto risultati sanitari disastrosi.
Quello di cui c’è bisogno è un ritorno a un sistema sanitario unitario e a un rinnovato e forte ruolo di indirizzo e controllo degli organi centrali. Questa è la prima vera sfida da vincere per rendere il Ssn sostenibile anche in futuro.
Beatrice Lorenzin Ministro della Salute
Le tre cose si tengono insieme se, oltre che spendere poco si spende, in parte, male. In questo senso analizzare «al meglio», come dice il ministro, il dato sugli sprechi sarebbe certamente utile. Definanziare non significa tagliare in cifra assoluta, ma finanziare, di anno in anno, meno di quanto inizialmente previsto dallo stesso governo nei Def, il che ha ridotto l’incidenza della spesa sul Pil, pur in anni di crescita quasi zero. Spendere meno, in sé, non è un male, se appunto si eliminano gli sprechi e si migliora il servizio. Molto è stato fatto, dice il ministro. Che però definisce tutti da verificare i dati sull’aumento della spesa a carico delle famiglie. Una verifica che il ministero farebbe bene a fare, così come quella sull’incremento delle persone che rinunciano alle cure: verifiche essenziali per sostenere l’affermazione sui progressi compiuti dal servizio pubblico.
Enr. Ma. – Il Corriere della Sera – 14 giugno 2017