Fertility Fake (falso) batte Fertility Day. Almeno in popolarità. Il secondo scivolone della campagna di comunicazione sull’infertilità, compiuto dal ministero della Salute, ieri ha animato la protesta. E così la contro-manifestazione organizzata da associazioni e sindacati, in prima linea i giovani, ha fatto passare in secondo piano l’obiettivo della ministra Lorenzin. Che era la divulgazione di un tema sconosciuto alla maggior parte degli italiani: la difficoltà a procreare legata a cause da diagnosticare e rimuovere prima di scoprire, troppo tardi, di non poter avere bambini.
I contestatori in piazza chiedono le sue dimissioni. Ma Renzi le respinge: «Non scherziamo. La verità è che la campagna è inguardabile per come è stata realizzata. Ha sbagliato, anche lei lo ha ammesso. Il tema è reale, la mancata crescita demografica. Però lo hanno detto in modo da far alzare i capelli a Berlusconi».
Risultato. Sono prevalse le polemiche e le accuse sul presunto, recondito fine del ministero, retto dalla rappresentante di Ncd, di invitare gli italiani a fare figli per combattere la denatalità giunta a livelli disastrosi: se continuasse così tra 20 anni ci sarebbero più nonni che nipoti.
Non solo. Della campagna di comunicazione è stato contestata anche l’ultima versione, rivista e corretta interamente dopo la prima, mal realizzata, di inizio settembre. Ha irritato l’immagine di uno degli otto opuscoli pubblicati sul sito ufficiale con le due metà del cielo. I belli e buoni (e bianchi) che perseguono corretti stili di vita e dunque sono fertili. Nella metà inferiore i brutti, cattivi e neri che fumano droga e non possono riprodursi. Messaggio razzista, è la feroce critica. Il depliant a poche ore dalla comparsa su www.ministerosalute.it mercoledì pomeriggio è stato subito rimosso assieme a chi sarebbe la presunta responsabile dell’errore tecnico, Daniela Rodorigo.
A Roma era in programma l’evento centrale, un convegno con esperti di grido sul problema dell’infertilità. Ma Lorenzin ha passato il tempo davanti alle telecamere, a spiegare e giustificare: «Da una parte ci sono le polemiche, alcune strumentali, di impronta politica. Io che faccio la politica, so bene come funziona e fin qui mi sta bene. Però addirittura accusarmi di razzismo è gravissimo, inaccettabile. Dall’altra ci sono le manovre. In molti vogliono prendere il mio posto; se qualcuno lo vuole, prego si accomodi. Io intanto però mi occupo di prevenzione e salute».
Sul web si sono moltiplicati ironie e attacchi di ogni genere da parte di Pd, Sinistra italiana, Associazione Luca Coscioni. Intorno a lei televisioni giapponesi, americane olandesi. Fuori dalla sede del convegno, a due passi da piazza di Spagna, splendida per la accecante scalinata appena restaurata, i manifestanti del Fake, riuniti sotto l’hashtag #sonoinattesa.
Qualche decina di persone armate di clessidra (il contestatissimo simbolo della campagna prima versione) e di cuscini infilati sotto la maglietta per simulare la gravidanza, chiedono le sue dimissioni. E snocciolano come un rosario le loro richieste al governo: «Siamo in attesa di diritti, welfare, diritto allo studio, ambiente sano e adozioni per le coppie omosessuali».
L’inutile ricorso alla teoria del complotto
di Antonella Baccaro. «Nel Fertility Day parliamo di salute, poi c’è l’aspetto politico e nella politica ci sono strumentalizzazioni, e mi sa che c’è un sacco di gente che aspira a fare il ministro della Salute: va benissimo, ma io intanto mi occupo di cose vere». Tradisce un po’ di nervosismo la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, travolta dalla seconda protesta sulla medesima campagna sulla fertilità, nel giro di pochi giorni. E così, davanti a microfoni e telecamere imbocca di corsa l’affollato «tunnel» del complotto. Come mai anche la seconda campagna non è corretta? «Perché c’è qualcuno che vuole farmi fuori» è il senso delle sue parole. Ora, il complottismo in politica è un genere abusato cui pochi si sottraggono quando sono in difficoltà. Ma a Lorenzin non è bastato ricorrervi. Per prendere le distanze definitivamente dai disastri della campagna di comunicazione, ha licenziato pubblicamente la responsabile, commentando: «Io faccio il ministro e non il comunicatore». Errore blu: in politica la comunicazione è metà del lavoro. Nel merito, la prima campagna peccava proprio nell’impostazione del messaggio: non si può dire che le donne in Italia non facciano figli perché non ne avvertono l’urgenza. La seconda campagna invece, con quella copertina manichea, era solo raffazzonata. «Brutta» l’ha definita la ministra. E poteva fermarsi lì.
Margherita De Bac – Il Corriere della Sera – 23 settembre 2016