Livelli di consumo al ribasso. Programmi di spesa frenati. Il ritorno alla solidarietà familiare. Le acrobazie per trovare un lavoro con il recupero del pendolarismo dentro e fuori i confini. La crisi colpisce tutti ma sono le famiglie a pagare il conto più pesante. Un prezzo che è la somma degli effetti della crisi del 2008 e della recessione in corso. E che ha portato alla messa a punto di strategie mirate più a «sbarcare il lunario» che a fare «sistema» per uscire dal tunnel.
È la storia di uno «(S)bilancio familiare» quella raccontata dall’ultima indagine di Ref Ricerche presentata ieri a Milano nel corso di un convegno organizzato da Centromarca e Famiglia Cristiana. Ovvero la storia del difficile equilibrio fra rigore, sviluppo, equità.
Spiega Fedele De Novellis, curatore della ricerca: «Il passaggio che l’economia sta attraversando è particolarmente oneroso per le famiglie perché pone a loro carico non solo i costi della recessione in corso ma anche parte degli oneri della crisi del 2008-2009, inizialmente assorbita dal bilancio pubblico e dalla contrazione dei margini di profitto». Allora gli effetti erano stati spalmati su più attori, produttori di commodities, bilanci pubblici, delle imprese e delle famiglie. «Tutta la seconda fase — si legge nella ricerca Ref — si scarica sui bilanci delle famiglie». Rincaro del petrolio, inflazione importata, moderazione salariale, perdita del potere d’acquisto. Prendiamo la pressione fiscale: è passata dal 40% del 2005 al 46% di oggi. Il crollo della domanda di lavoro: dai 25 milioni del 2008 si è scesi a 23,8 milioni.
Effetti che pesano e incidono sui comportamenti. Perché mentre nel 2008 le famiglie erano state più impassibili, intaccando i risparmi e sperando nel domani, oggi sono costrette a modificare consumi e stili di vita. Crescono così gli scoraggiati, i disoccupati, i cassintegrati e anche i lavoratori part-time involontari. «E le conseguenze della crisi assumono tratti inquietanti guardando i giovani», afferma De Novellis. Il tasso di occupazione tra i 25 e i 34 anni scende al Nord come al Sud, per entrambi i sessi, ma il record negativo spetta alle donne del Meridione: solo una su tre (o poco più) risulta avere un lavoro. Continua De Novellis: «Il mancato ingresso dei giovani nel mondo del lavoro ne deteriora il capitale umano e spinge i più preparati a cercare lavoro all’estero, influenzando così anche il livello di Pil potenziale e allungando i tempi di uscita dalla crisi». Al Sud va poi un secondo primato negativo. Quello delle famiglie che vivono in povertà: oltre il 20% rispetto al 5% del Nord.
Alessandra Mangiarotti – Corriere della Sera – 21 ottobre 2012