di Stefano Folli. Per ora la partita politica decisiva si svolge fra due debolezze. Entrambi gli schieramenti che si fronteggiano cercano di farsi coraggio, ma non sanno se avranno la forza di reggere.
Debole, a dir poco, è Silvio Berlusconi. Ma ancora in carica e determinato, almeno così pare, a combattere fino alla fine. Ha già annunciato che chiederà la fiducia sulla legge di stabilità, presentandosi prima al Senato – dove dispone sulla carta di numeri meno insoddisfacenti – e subito dopo a Montecitorio.
Ma la maggioranza sembra sciogliersi come un pupazzo di neve in primavera. I due deputati del Pdl passati ieri all’Udc di Casini rappresentano un segnale piuttosto clamoroso, non inferiore alla lettera dei dissidenti il giorno precedente.
È un fatto che le defezioni si succedono da un giorno all’altro e danno l’idea di uno stillicidio inesorabile. Benché ancora nei suoi poteri costituzionali, è chiaro che l’esecutivo in termini politici è defunto. Comprensibile che il segretario Alfano provi a mostrarsi fiducioso, ma quella sua frase volta a frenare l’esodo («abbiamo i numeri, andremo avanti fino al 2013») non è convincente e addirittura lascia intravedere la paura del collasso.
C’è però un’altra debolezza ed è quella delle opposizioni. Bersani e Casini enfatizzano i passaggi di campo di questo o quel parlamentare e affermano di prepararsi al governo di transizione. In realtà non sono affatto certi di riuscire a mettere in piedi una credibile ipotesi alternativa, pur consapevoli di doverlo fare in tempi rapidi se vogliono accelerare lo sgretolamento del fronte avversario.
Il motivo è chiaro. Quasi tutti i deputati che lasciano Berlusconi vogliono evitare le elezioni anticipate. Temono, restando impigliati nella nave che affonda, di perdere tutto e di essere trascinati alle urne dalla disperazione del loro vecchio leader. Tuttavia, per fare il salto con convinzione, hanno bisogno di sapere che dall’altra parte trovano un approdo sicuro: un esecutivo istituzionale, tecnico o anche un premier di centrodestra che non sia più Berlusconi. Qualsasi ipotesi pur di escludere le elezioni.
quello che il Pd e il “Terzo polo” non sono ancora in grado di garantire. Possono offrire qualche posto in lista, se si voterà, ma non la garanzia di un esecutivo stabile. Il quadro sarebbe diverso se prendesse forma una maggioranza di «larghe intese», comprensiva del Pdl e votata a realizzare il programma europeo. Ma al momento non se ne intravede alcuna traccia. Molto dipende dall’intransigenza del presidente del Consiglio, fermo sulla posizione di chiusura: «O il mio governo o il voto». Ma al riguardo anche nel centrosinistra, appena sotto la superficie, ci sono gravi difficoltà, benché negate e rimosse.
Vendola ripete ogni giorno di essere contrario ai governi tecnici, da cui si aspetta politiche «anti-popolari». Di Pietro su questo non intende farsi scavalcare e tiene una linea quasi altrettanto dura. Sarebbe arduo per Bersani reggere un anno e oltre di governo «europeo» – nel solco della Bce – avendo all’opposizione i vendoliani e forse, chissà, Di Pietro come perfetto contraltare della prevedibile opposizione della Lega sull’altro versante.
In conclusione, il governo Berlusconi non c’è quasi più; ma quello di transizione non c’è ancora e anzi si presenta come una prospettiva fragile. Napolitano non vuole accreditare alcun «ribaltone» parlamentare e desidera vedere numeri sicuri, nonché una reale concordia sulle politiche verso l’Europa. In altri termini, la crisi è in alto mare e il rischio di elezioni anticipate rimane consistente
ilsole24ore.com – 4 novembre 2011.