Il Sole 24 Ore, Agnese Codignola. Fiato corto. Dolore al petto. Affaticamento. Difficoltà di concentrazione. Disturbi del sonno. Ansia e depressione. Nausea. Distorsioni olfattive. Dolori diffusi. Sono solo alcuni dei sintomi del Long Covid, la sindrome post virale che, via via che aumentano le persone guarite, sta assumendo i tratti di un’autentica emergenza sanitaria. L’ultima analisi, pubblicata su Lancet EClinical Medicine, relativa a 56 paesi, basata su quanto riportato da oltre 3.700 pazienti, ne ha descritti più di 200 in 10 organi diversi, mentre una rilevazione tra i veterani Usa ne enumerava oltre 340. E una recente metanalisi pubblicata su Jama, che ha messo insieme 45 studi che hanno coinvolto 10.000 persone, ha evidenziato che tre quarti di loro, a due mesi dalla guarigione, ne ha almeno uno.
È insomma ormai evidente che una percentuale ancora non definita, compresa tra il 10 e il 30% di chi si ammala di Covid 19, è destinata a sviluppare una costellazione di sintomi che, nei casi più gravi, diventa invalidante, e dura anche per molti mesi. Per questo in tutto il mondo ci si interroga su come intervenire prima che milioni di persone diventino invalide. Per curare, tuttavia, è necessario capire che cosa succede. E in questo caso la sfida è particolarmente ardua, proprio per la varietà estrema delle manifestazioni cliniche, che insorgono più spesso nelle femmine, quasi sempre in presenza di un tampone negativo, senza che il Covid sia stato grave, anzi, e soprattutto nelle persone adulte, più che negli anziani, oppure nei bambini e nei ragazzi (ottimo motivo per vaccinarli: convintamente).
Sulle cause per il momento ci sono ipotesi differenti, non mutualmente esclusive. Potrebbe trattarsi di una reazione autoimmune, che si innesca come conseguenza della scossa data da Sars-CoV-2. Potrebbe però anche essere lo stesso coronavirus che, pur scendendo a concentrazioni molto basse e non rilevabili dai tamponi, è presente nell’organismo, e continua a stimolare una risposta cronica, a bassa intensità, molto dannosa. Ancora, potrebbero essere danni del Covid acuto a singoli organi e tessuti, che presentano il conto nel tempo. Oppure virus di altro tipo, latenti, che tornano attivi in conseguenza dell’infezione da Sars-CoV 2 (un fenomeno ben noto in virologia).
Negli ultimi giorni sono stati pubblicati diversi studi che supportano alcune di queste ipotesi, confermando sia la riattivazione dell’herpesvirus noto come virus di Epstein Barr (EB), sia la presenza di autoanticorpi (diretti, in uno studio dell’Università di Yale, contro addirittura 2.700 bersagli diversi), sia l’efficacia, in una parte di malati, del vaccino (che comproverebbe sia la necessità di riequilibrare il sistema immunitario con uno stimolo forte, sia la permanenza di Sars-CoV-2 nell’organismo).
Ma se il Long Covid fosse provocato dal virus EB, si potrebbe intervenire con antivirali in uso da anni come il ganciclovir, dotati di una certa efficacia. Se la causa fosse invece autoimmune, si potrebbe tentare con i molti farmaci capaci di attenuare le reazioni autoimmuni. Se infine si capisse meglio perché il vaccino può aiutare, la soluzione sarebbe già pronta.
La ricerca sta procedendo spedita e, innanzitutto, sta facendo proprio questo: verificare farmaci già approvati o in studio per altre malattie. Ne ha parlato nei giorni scorsi una lunga review di Nature, citando una decina di sperimentazioni cliniche in corso soprattutto con immunomodulanti, farmaci per i danni ai polmoni, antivirali e antinfiammatori. Per esempio, la società Biovista propone il caplacizumab-yhdp, un microanticorpo (nanobody, progettato imitando gli anticorpi di cammello) approvato per disturbi della coagulazione, come pure la coppia ezetimibe-atorvastatina, che potrebbero essere utili per i danni ai vasi spesso associati al Long Covid.
Contro i dolori al petto e la tachicardia, che rientrano in quella che viene chiamata sindrome tachiacardica posturale o Pots, Amgen candida l’ivabradina, già approvata nello scompenso cardiaco e nelle cardiomiopatie infantili dai sei mesi in su, e già sperimentata su 22 pazienti con ottimi risultati.
Il Long Covid, poi, ha molto in comune con un’altra malattia misteriosa, la sindrome da affaticamento cronico o Me-Csf. La Aim ImmunoTech, che stava già studiando il rintatolimod, un farmaco specifico per ora approvato in Argentina e per uso compassionevole nelle città di Incline (Nevada) e Charlotte (South Carolina), ha chiesto di allargare il trial. Nel frattempo, molti pazienti statunitensi stanno cercando di farsi inserire nelle liste dei malati delle due città per accedere al trattamento. E chi ci riesce sta segnalando un chiaro miglioramento dell’affaticamento. Per battere il Long Covid, secondo molti serve soprattutto una riabilitazione personalizzata. Ma anche i farmaci potrebbero presto avere un ruolo cruciale, e presto si capirà se è davvero così.