Il Sole 24 Ore. Almeno un milione di italiani colpiti dal Long Covid. Questa l’eredità della pandemia che oltre ai 150mila morti raggiunti finora in Italia lascerà i segni per diversi mesi e qualche volta anche oltre un anno in almeno il 10-20% di chi è stato contagiato con strascichi sulla salute più o meno invalidanti che vanno dai sintomi meno invasivi – come la perdita di olfatto e gusto che durano anche oltre un anno – a difficoltà respiratorie, astenia, miocarditi e seri problemi cognitivi legati a disturbi del sonno, problemi di memoria e di concentrazione che i medici hanno già ribattezzato «nebbia cognitiva».
Se si parte da una platea di quasi 12 milioni di italiani infettati i numeri di questa sindrome su cui pian piano si sta facendo luce sono impressionanti e forse anche sottostimati visto che ora si è capito che colpisce non solo chi è stato ricoverato, ma anche chi avuto sintomi più leggeri senza guardare nemmeno all’età, visto che a rischio sono anche i bambini. A confermare le proporzioni di questo fenomeno – non solo sanitario ma anche sociale per le implicazioni anche nel mondo del lavoro – e già denunciato nei mesi scorsi dall’Oms sono due notizie che arrivano da Inghilterra e Usa: secondo un’indagine condotta dall’Office for National Statistics (l’Istat inglese) il numero di persone nel Regno Unito affette da Long Covid – un Paese che per contagi e morti assomiglia molto all’Italia – ha raggiunto in questi giorni la cifra record di 1,33 milioni, con quasi due persone su tre che soffrono degli effetti a lungo termine (836.000) che hanno riferito come la loro condizione pregiudichi le attività quotidiane, mentre 244mila persone hanno riferito di avere subito «molte limitazioni» nelle loro attività. Oltreoceano invece il Congresso Usa ha stanziato mesi fa oltre un miliardo per fare ricerca sul Long Covid mentre il presidente Biden da poco ha chiesto il suo riconoscimento ufficiale come malattia.
E in Italia? Il ministro della Salute Roberto Speranza a maggio del 2021 nel decreto Sostegni bis ha stanziato poco più di 50 milioni di euro fino al 2023 per finanziare un «Protocollo sperimentale nazionale di monitoraggio», che prevede l’erogazione – esente da ticket – di una serie di prestazioni di specialistica ambulatoriale contenute nei Livelli essenziali di assistenza che prevedono una serie di esami gratuiti per le funzioni più interessate dal Covid e cioè quella respiratoria, cardiaca, renale ed emocoagulativa. Un pacchetto di prestazioni troppo ridotto alla luce delle nuove conoscenze sul Long Covid e a cui tra l’altro possono accedere solo i pazienti colpiti da forma grave e dimessi da un ricovero ospedaliero e giudicati guariti. Allora la platea degli interessati dall’esenzione era stimata dall’Istituto superiore di Sanità in 164mila pazienti, un numero troppo piccolo rispetto ai bisogni attuali.
Da qui anche diverse iniziative a livello regionale: innanzitutto sono spuntati soprattutto nelle grandi città ambulatori per i pazienti colpiti dal Long Covid – a Roma a esempio i più grandi sono al Gemelli e allo Spallanzani -, mentre diverse Regioni hanno previsto pacchetti di prestazioni più ampi con meno paletti per accedervi. Tra le ultime a intervenire c’è a esempio la regione Lazio con una determina del 30 dicembre scorso che prevede la possibilità di attivare dei «Pac» (prestazioni ambulatoriali complesse) prescritte da medici specialisti (infettivologi, pneumologi o medici di medicina interna) mentre tra le prime c’è l’Emilia Romagna che già a luglio 2020 ha previsto indicazioni per il follow up dei pazienti con Covid con la possibilità anche per il medico di famiglia di prescrivere visite ed esami gratuiti ai casi sospetti, compresi quelli pediatrici.
Questo perché dopo 2 anni di pandemia è chiaro che i sintomi di Long Covid sono stati riscontrati anche nei bambini. Secondo la Società italiana di pediatria dal 4% al 60% di under 18 può soffrire di Long Covid. Per evitare che la malattia si trasformi in lungo incubo, il consiglio è quello di far «visitare tutti i bambini e gli adolescenti con una diagnosi sospetta o provata di Covid dopo 4 settimane dalla fase acuta dell’infezione per verificare la presenza di possibili sintomi di Long Covid. E – hanno chiarito proprio in questi giorni i pediatri -programmare in ogni caso anche in assenza di questi sintomi, un ulteriore controllo dopo 3 mesi dalla diagnosi di infezione per confermare che sia tutto normale o per affrontare i problemi emergenti, attraverso una valutazione approfondita».