La recessione è alle porte? Se lo chiedono i banchieri centrali di tutto il mondo, riuniti tra le montagne del Wyoming, negli Stati Uniti. Ne avverte l’ombra l’Europa, visto che la Bce «ritiene indispensabile» una «ulteriore riduzione» dei crediti deteriorati, a rischio incasso (Npl), che ancora zavorrano i bilanci delle banche europee. Benché quasi dimezzati – 587 miliardi di euro nel marzo scorso, rispetto ai 1.000 del novembre 2014 – non basta. Bisogna agire «finché le condizioni economiche sono favorevoli», scrivono gli economisti della Vigilanza bancaria di Francoforte. Un documento tecnico che sottende un rischio reale? Il rallentamento dell’Eurozona – dice la Bce – cominciato alla fine del 2018 può «protrarsi più a lungo di quanto stimato». I dubbi sulla ripresa attesa per la seconda metà di quest’anno «stanno aumentando». Insomma, la situazione è «preoccupante».
I previsori d’altronde non fanno che tagliare le stime di crescita. Globale, sgonfiata dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e resto del mondo, Cina in testa. Americana, dopo una lunga cavalcata oramai pluridecennale. Europea, con l’incubo Brexit e la brusca frenata della Germania. E italiana, ferma a zero quest’anno se va bene. Poco sopra, il prossimo. Ieri Moody’s ha tagliato le stime del nostro Pil: dimezzato allo 0,2% nel 2019 e portato allo 0,5 nel 2020 dal +0,8% attribuito tre mesi fa. L’Ufficio parlamentare di bilancio prevede lo 0,4%. Il Fondo monetario per ora lo 0,8% (da 0,9). L’Ocse +0,6%. Se non siamo in recessione tecnica due trimestri consecutivi con il segno meno – non c’è da stare allegri.
L’America di Trump ha i suoi segni premonitori. E guarda alla Contea di Elkhart – 200 mila abitanti, nello Stato delll’Indiana – dove si producono i due terzi di tutti i caravan venduti negli Stati Uniti, i cui ordini sono crollati quest’anno del 20%: è già successo poco prima delle ultime tre recessioni. La curva dei rendimenti pagati sui titoli del Tesoro si è invertita per la terza volta in otto giorni: i bond a 2 anni pagano interessi più alti di quelli a 30 anni. Un premio al rischio sul breve termine che negli ultimi 50 anni di storia americana ha anticipato 7 recessioni.
Anche l’Italia non scherza. La produzione industriale è scesa a luglio di un altro 0,6%. Gli ordini sono in picchiata da inizio 2018 ormai. Gli investimenti ancora con il segno meno. Consumi debolissimi. Export sempre meno bene. Richieste di nuovi mutui o surroghe ridotte, nonostante tassi mai così bassi. Clima di fiducia di aziende e famiglie, positivo a luglio, intaccato ora dalla crisi politica. La possibile frenata di Germania e Usa – l’indice manifatturiero Pmi tedesco di luglio è salito poco da 50,9 a 51,4, quello americano di agosto è sceso a 49,9 da 50,4, ai minimi dal settembre 2009 – potrebbe trascinare in basso l’Italia. Non a caso la Germania pensa a uno stimolo fiscale da 50 miliardi da iniettare nell’economia, abbandonando la politica del pareggio di bilancio. Se lo può permettere con un debito al 60% del Pil, contro il 133,7% italiano per quest’anno e 135,2% nel 2020.
«Gli Usa stanno vivendo una delle fasi di espansione più lunga della loro storia, cominciata con il salvataggio delle banche di Obama nel 2008-2009», ragiona Stefano Manzocchi, direttore del dipartimento di Economia e finanza alla Luiss. «Non c’è una recessione in atto né la certezza di entrarci, eppure l’amministrazione Trump preme per un taglio dei tassi perché teme un contraccolpo per le aziende americane, specie i colossi dell’high tech, dalla politica dei dazi. In Europa lo scenario è diverso: l’economia tedesca è alle corde dopo 15 anni di crescita, per la crisi delle auto dopo il dieselgate, il rallentamento dell’export e i problemi delle sue banche più grandi: Commerz e Deutsche. Se non arriverà un nuovo segnale dalla Commissione Ue, l’Italia rischia di risentire di tutte queste tensioni in modo molto pesante». Anche per Andrea Garnero, economista Ocse, «nessuno sa se siamo o no vicini a una recessione, ma sicuramente viviamo un rallentamento globale significativo che purtroppo si traduce in stagnazione in Italia. La gente ancora non sente di essere uscita dalla doppia Grande Crisi. Non siamo pronti ad affrontarne un’altra».
Repubblica