L’ufficio chiuso dall’ex manager. Un dipendente dell’Asl percorre tutti i giorni 220 chilometri in auto per portare a vidimare le carte. Aperta un’inchiesta. Il signor Filippo Calella, dipendente dell’ospedale di Locri ogni giorno si fa 220 chilometri di strada per portare all’Azienda sanitaria di Reggio Calabria documenti da protocollare in arrivo alla struttura sanitaria locrese.
L’ufficio di Locri, infatti, è chiuso da un anno. Arrivare in ospedale a Locri e chiedere dove si trovi l’ufficio protocollo è diventato un rischio. Perché può sembrare una presa in giro. Nella più grande struttura ospedaliera, 2500 dipendenti, che fornisce sanità ai 42 comuni della Locride, l’ufficio protocollo è stato chiuso per una decisione presa dall’ex manager dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria Francesco Sarica e dalla dirigente del settore Angela Minniti.
La soppressione dell’ufficio
Una soppressione senza motivo, denuncia il sindacato Uil sanità. I vertici aziendali reggini hanno comunque trovato la soluzione per evitare disagi all’utenza. Con un provvedimento singolare, hanno deciso di trasferire tutte le pratiche da protocollare a Reggio Calabria. Per i primi sei mesi il signor Calella ha usato l’auto propria, adesso l’azienda locrese gli ha fornito una Panda. Uno spreco di danaro pubblico senza limiti, che incide non poco sulle casse della Sanità calabrese, commissariata da anni e con un decifit stratosferico. I faldoni dopo essere stati protocollati ripartono per Locri, nella stessa giornata. Una manna per l’autista visto lo straordinario accumulato in questi mesi.
L’inchiesta della procura
La procura di Locri dopo la denuncia del sindacato ha aperto un fascicolo iscrivendo nel registro degli indagati l’ex manager e la dirigente. Il sostituto procuratore Ezio Arcadi procede con l’accusa di interruzione di pubblico servizio e di pubblica necessità. Perché come ipotizza la procura, il protocollo è un ufficio dove arriva documentazione per gare d’appalto, richieste degli ammalati, ma è anche un crocevia di pratiche interne da destinare ai vari settori e dipartimenti. Arrivano, ma è possibile che vadano persi per un qualsiasi motivo durante il tragitto per Reggio Calabria. E siccome non esiste in ospedale, a Locri, un riscontro di deposito atti, la chiusura del protocollo diventa un caso. La soppressione dell’ufficio è un atto senza precedenti in una struttura pubblica. «Vogliamo vederci chiaro perché è inammissibile chiudere un ufficio le cui peculiarità sono a tutti evidenti» -spiega Arcadi-. «Dal protocollo passano documenti importanti e determinanti per la vita della stessa struttura sanitaria» – dice ancora il magistrato titolare dell’indagine.
La chiusura dopo gli investimenti per informatizzare l’ufficio
La vicenda diventa ancor più inquietante perché la chiusura del protocollo è arrivata all’indomani dell’acquisto del sistema che avrebbe dovuto informatizzare l’ufficio. L’ospedale, infatti, aveva dato la gestione alla società “Golem”, che aveva il compito di formare dipendenti da utilizzare poi al protocollo. Qualcuno ipotizza che dietro la chiusura ci sarebbe il tentativo di marginalizzare la struttura. L’ospedale di Locri, all’epoca Asl numero 9, è stata la prima azienda sanitaria in Italia sciolta per mafia dopo l’omicidio di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, ed ex primario del pronto soccorso di Locri. E’ un presidio che in passato si è fatto conoscere più che per una buona sanità per fatti di cronaca. Due i primari assassinati nello spiazzo antistante la struttura. Motivo: non avrebbero salvato la vita a parenti di boss.
14 dicembre 2014 | Corriere.it