Giuseppe Baldessarro. Non sapendo più a che santi votarsi contro l’assenteismo dei dipendenti comunali ha preso carta e penna e ha scritto a Gesù. La singolare provocazione è del sindaco di Locri, Giovanni Calabrese. Dopo denunce a carabinieri, finanza, Procura e un numero impressionante di provvedimenti disciplinari senza esito, si è rivolto “all’Altissimo” per chiedergli di porre fine alle «continue e ripetute condotte dei dipendenti comunali che immobilizzano l’apparato burocratico e si comportano in maniera poco corretta sul posto del lavoro, tralasciando il senso del dovere».
Scrive: «Mi rivolgo a te non sapendo a chi altro rivolgermi». Aggiungendo: «Sono costretto ad affermare che solo una minima parte dei dipendenti comunali lavora in modo serio e onesto, mentre tanti altri stanno a guardare in attesa che arrivi il non sudato stipendio». Su 125 dipendenti comunali quelli realmente disponibili e impegnati «non sono mai più di 20-25». Gli altri? Esibiscono certificati medici a raffica. Non ci sono vigili urbani, nessuno che cambi le lampadine dell’illuminazione pubblica, e anche le buche delle strade restano in attesa di qualcuno di «buona volontà».
Ogni volta che il sindaco alza il telefono per chiedere a un dipendente di darsi da fare arriva puntale la “malattia”. Racconta il primo cittadino: «Da mesi segnalo la rottura di un semaforo in pieno centro, ma nessuno interviene ». I controlli sull’abusivismo edilizio? Non esistono. E «il personale addetto alla raccolta dei rifiuti continua a essere colpito da improvvise malattie». Così Calabrese nei mesi scorsi si è messo alla guida del pulmino che accompagna i ragazzini diversamente abili, ha comprato 30 sacchetti di bitume a freddo e, con il vice-sindaco e un unico volenteroso operaio si è messo a tappare le buche nell’asfalto. Capitolo a parte quello dei vigili urbani. Sono sette, ma due non possono stare in piedi più di 3 ore, uno può lavorare solo da seduto e gli altri non sono efficienti. Insomma, non c’è medicina che tenga, per Calabrese serve solo un miracolo.
Repubblica – 1 settembre 2014