Il Corriere della Sera. L’esito della battaglia delle regioni contro il governo, per cambiare il decreto sulle riaperture, sta nelle parole di un presidente sconsolato: «Cosa abbiamo portato a casa? Niente». La deroga per quei territori che non dovessero riuscire a garantire il 70% di scuola in presenza alle superiori è ben poca cosa per i governatori, delusi dalla «rigidità» del premier e arrabbiati con Mariastella Gelmini. Alla ministra degli Affari regionali i governatori di centrodestra rimproverano di non aver lottato per il coprifuoco alle 23 e di aver «lasciato solo Giorgetti» pure sulle altre «cose di buon senso» chieste al governo.
Gli echi di uno scontro istituzionale sfiorato non si spegneranno presto, anche perché la tensione tra governo e regioni si incrocia con il «caso Salvini» e i sospetti che il leader della Lega mediti di uscire dalla maggioranza. Eppure per Palazzo Chigi l’incidente è chiuso. «Tempesta in un bicchier d’acqua», è la lettura ufficiosa. Fonti di governo smentiscono che in Consiglio dei ministri il premier abbia «cambiato le carte in tavola» e assicurano che Mario Draghi non vuole tenere il coprifuoco alle 22 fino al 31 di luglio, quando scadrà il decreto. «Faremo un monitoraggio attento e appena la situazione epidemiologica migliora potremo fare altri allentamenti», è la linea con cui il premier ha rassicurato l’ala destra della maggioranza.
Quanto alla scuola, l’altro capitolo che ha acceso fibrillazioni, Gelmini ha cercato una mediazione facendo da pontiera tra Palazzo Chigi da una parte e Fedriga, Toti e Zaia dall’altra. La regola del decreto è in parte derogabile, purché i territori che avessero seri problemi a gestire in sicurezza i trasporti non scendano al di sotto del 50% di lezioni a distanza. Un compromesso che ha allentato le tensioni, anche se per i leghisti è solo «un contentino ai 5 Stelle, su insistenza di Patuanelli».
Gli alleati. Per i leghisti il compromesso sulla scuola è solo un «contentino» al M5S
«Il problema è risolto», ha garantito Gelmini ai governatori, spiegando che anche Forza Italia vuole l’abolizione del coprifuoco, ma che la decisione «l’ha presa Draghi» e a lei è toccato adeguarsi. Il clima in maggioranza resta gelido e gli spifferi si sentono. Dentro Forza Italia, dentro la Lega, tra i partiti di centrodestra e tra destra e sinistra. Non siamo al tutti contro tutti, ma il rischio logoramento è dietro l’angolo. Prova ne sia la girandola di telefonate per mediare e smussare che ha visto al lavoro Giorgetti, Gelmini, Fedriga… Al telefono con il sottosegretario Roberto Garofoli, il presidente della Conferenza ha assicurato che «le regioni non cercano la rissa», ma «la gente è arrabbiata» e i governatori fanno proposte «per evitare che la tensione esploda».
Salvini si dice convinto che questo round lo abbia vinto «la linea chiusurista di Speranza, Pd e 5 Stelle» e che i partiti di centrosinistra vogliano spingerlo fuori dal governo. Visto il clima, Enrico Letta chiede una tregua, un «patto di concertazione e corresponsabilità» per fare quelle «riforme irripetibili» che l’Europa si aspetta dall’Italia. Ma all’irritazione del segretario del Pd per le mosse di Salvini, che deve decidere «se sta dentro o se sta fuori», corrisponde l’ira della Lega.
Le regioni leghiste rimproverano al premier di tenere troppo conto di un elettorato che non è quello di centrodestra. Altra interpretazione smentita da Palazzo Chigi: «Le scelte si prendono sui dati scientifici, non su orientamenti politici». La destra di governo però insiste. E se chiede a Draghi «più coraggio» è perché spera di ottenere un nuovo decreto tra due settimane, che abolisca il coprifuoco e consenta di aprire i locali pubblici anche al chiuso. «Con cinema, teatri e musei Franceschini ha ottenuto un gigantesco segnale per il ceto sociale più protetto, mentre non si è concessa un’ora di coprifuoco ai ristoratori — si sfoga un governatore leghista — Se non portiamo a casa qualche risultato per il nostro blocco sociale, la cosa diventa pesante».