Il Sole 24 Ore. L’obbligo di vaccinarsi per i sanitari di tutta Italia è scattato oltre un mese fa quando è entrato in vigore il decreto Covid che lo ha introdotto già d a inizio aprile. Ma numeri alla mano -in base all’ultimo report sulle vaccinazioni pubblicato sul sito del Governo – ci sono ancora 85mila operatori che “resistono” e non si sono immunizzati, si tratta di quasi il 5% del totale del personale sanitario in Italia. Non proprio un bel segnale per la campagna vaccinale generale del resto degli italiani che già comincia a dare qualche segnale di rallentamento perché più si scende con l’età e maggiori sono le resistenze a vaccinarsi.
Certo non tutti gli 85mila operatori sanitari conteggiati sono probabilmente contrari a vaccinarsi e nelle prossime settimane il numero diminuirà sostanzialmente, ma il fenomeno appare molto più ampio del previsto e così si scopre che a pesare ci sono anche le difficoltà pratiche a far valere l’obbligo vaccinale perché la legge approvata prevede complicazioni, scappatoie, burocrazia ed è troppo “vaga” sulle possibilità di esclusione dall’obbligo così come sulla platea di operatori coinvolti che non è proprio ben definita. Come sempre in Italia con delle nuove regole parte anche il classico ufficio complicazioni: le norme prevedono l’invio entro 5 giorni dall’entrata in vigore della legge degli elenchi dei propri dipendenti da parte delle strutture sanitarie alle Regioni che a loro volta entro 10 giorni dovrebbero verificare l’assolvimento dell’obbligo e poi inviare alle Asl i nomi degli inadempienti. A questo punto le aziende sanitarie invitano le persone a fornire, entro 5 giorni dalla comunicazione, una documentazione che provi la vaccinazione effettuata o, in caso di differimento, la richiesta effettuata o i documenti necessari per l’impossibilità di effettuarla. Alla scadenza delle cinque giornate, se un riscontro non sarà stato prodotto, sarà l’Asl a «invitare formalmente l’interessato a sottoporsi alla vaccinazione, indicando modalità e termini entro i quali adempiere l’obbligo». Dopo aver effettuato la vaccinazione, entro tre giorni bisognerà trasmettere i documenti di attestazione necessari. In caso contrario (cioè il rifiuto del vaccino) l’Asl trasmetterà la notizia dell’’inosservanza all’interessato, al luogo di lavoro e all’Ordine professionale. Insomma una gincana, a cui seguono anche altre complicazioni: la stessa legge prevede che il datore di lavoro, prima di procedere alla soluzione estrema della sospensione dal lavoro del sanitario che non si è vaccinato con tanto di stop allo stipendio, debba tentare prima di spostare l’operatore ad un’altra mansione non a contatto con i pazienti. Una soluzione facile a dirsi ma davvero complicata a farsi perché in un ospedale, clinica o Rsa è davvero difficile trovare attività che non prevedano contatto con i pazienti. Il timore poi è quello di doversi trovare ad affrontare dei contenziosi legali.
C’è poi un altro punto debole nella legge: quella relativo alla possibilità di essere esentati dall’obbligo vaccinale. Una possibilità sacrosanta «in caso di accertato pericolo per la salute» e che scatterà in base a «specifiche condizioni cliniche» che potranno essere attestate dal medico di famiglia con un suo certificato. Proprio questo è un punto sottolineato dalle associazioni che rappresentano una bella fetta delle strutture che lavorano nel mondo socio-sanitario (Agespi, Anaste, Aris, Uneba) e che in una lettera inviata al ministro Speranza e al Parlamento suggeriscono di introdurre a fianco alla norma un allegato tecnico che possa aiutare il medico di medicina generale a capire in quali casi ci può essere l’esclusione per ragioni di salute. Nella lettera le stesse associazioni chiedono di includere nell’obbligo tutto il personale che opera nelle strutture socio-sanitarie senza limitarsi solo al personale sanitario in senso più stretto. E infine c’è la richiesta di puntare subito sulla sospensione dal lavoro di chi rifiuta il vaccino e solo in via residuale provare a trovare altre mansioni non a contatto con i pazienti.