Michele Bocci. Capelli come i camici, bianchi. Un lavoro duro come quello del medico ospedaliero, tra pronto soccorso, turni di notte, guardie, lunghe sessioni in sala operatoria ormai è sempre più appannaggio di professionisti maturi. Nessun’altra categoria del pubblico impiego sta invecchiando così rapidamente.
Il dato ufficiale deve essere ancora diffuso ma nel 2015 si è certamente superata una soglia fatidica: oltre il 50% di chi esercita negli ospedali e nelle Asl ha più di 55 anni. Per gli altri dipendenti di Stato e Regioni, e tra questi tutti coloro che lavorano nel sistema sanitario, la percentuale si ferma al 30. Nelle corsie si sta vivendo una trasformazione silenziosa che sta incidendo, riducendolo, sul ricambio generazionale.
Cosa sta succedendo? Il sistema di reclutamento dei medici ha una serie di imbuti. Intanto c’è il problema del blocco del turn over da parte di molte Regioni. I giovani medici vengono assunti con il contagocce sia dalle realtà locali con i bilanci in rosso sia da chi sta meglio economicamente. In più in questi anni, e ancora per un po’, siamo nel picco dei pensionamenti, visto che la maggior parte dei dipendenti degli ospedali sono nati negli anni Cinquanta. Poi c’è la questione delle scuole di specializzazione. I giovani professionisti che escono dai corsi post laurea, anche se venissero assunti tutti, sarebbero comunque assai meno di coloro che ogni anno si pensionano. Più uscite che entrate, e l’età media dei camici bianchi si alza. La situazione italiana è tra le peggiori al mondo, almeno secondo la ricerca “Health at a glance” dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico). Il dato riguardante tutti i professionisti, quindi non solo gli ospedalieri ma anche i medici di famiglia e gli specialisti privati e non, ci piazza all’ultimo posto in classifica. Nessuno ha così tanti over 55 (il 49% secondo l’ultima rilevazione, del 2013). Il Regno Unito è a circa il 13%, la Francia al 45%, la Spagna al 26%, la Germania al 42% e gli Usa al 34%.
I sindacati da tempo dicono che la soluzione del problema passa attraverso lo sblocco del turn over, l’assunzione dei precari, l’aumento dei posti delle scuole di specializzazione e più in generale maggior investimenti nella sanità. La Cgil dei medici ha fatto uno studio sull’età dei dottori assunti nel servizio pubblico. Il responsabile Massimo Cozza è partito dal conto annuale del Tesoro. L’ultimo, quello del 2014, registra un 48,9% di medici con più di 55 anni di età sul totale di 112 mila assunti. «Le proiezioni per il 2015 e il 2016 — spiega il sindacalista — tra blocco del turn over e aumento dell’età pensionabile, e quindi con un maggior numero dei colleghi usciti rispetto a quelli entrati, porta la percentuale ben oltre il 50%». Colpisce che appena dieci anni prima, nel 2004, gli over 55 erano molti meno, il 17,4%. «I turni sempre più massacranti pesano di più sui medici più anziani, a partire dalle guardie e dalle reperibilità di notte, il 20% delle quali sono svolte anche da medici con più di 60 anni — dice sempre Cozza — L’esperienza da un lato costituisce una importante risorsa ma le capacità fisiche e mentali comunque di norma peggiorano con il tempo. E si fanno sentire soprattutto nel lavoro notturno ». Tra i reparti dove l’invecchiamento produce più effetti negativi c’è il pronto soccorso. «E va considerato anche come, con meno giovani e più anziani, diminuisca la trasmissione delle conoscenze e dell’esperienza sul campo tra colleghi di generazioni diverse».
Repubblica – 9 ottobre 2016