Lo stop all’abuso d’ufficio salva quattromila colletti bianchi
La denuncia dell’Anm: “Il ddl Nordio produce un’amnistia per i pubblici ufficiali e crea uno spazio d’impunità” Gli effetti della legge: un quarto delle sentenze a rischio riguarda primi cittadini, il resto pratiche edilizie, sanità, concorsi
ROMA — Un’amnistia per quattromila colletti bianchi. «Migliaia di pubblici ufficiali che non potranno più essere puniti per abusi e prevaricazioni: risultato, il cittadino si sentirà più solo». Il giorno dopo l’approvazione della nuova riforma della Giustizia si comincia a fare la conta: degli “spumanti aperti” dagli amministratori, per citare le parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio. O dei danni, a credere ai numeri dell’Associazione nazionale magistrati e, a dire il vero, alle stesse statistiche del ministero. «Da oggi tutti coloro che sono stati condannati per abuso d’ufficio si rivolgeranno al giudice per chiedere l’eliminazione della condanna. È una piccola amnistia per i pubblici ufficiali: avremo 3-4 mila persone, o forse di più, che chiederanno la revoca della condanna, una piccola amnistia per i colletti bianchi. Abrogare il reato di abuso di ufficio significa regalare uno spazio di impunità di qualunque pubblico ufficiale: questo è illiberale» ha detto il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. «Da oggi, di fronte a un sistema di abusi e sopraffazioni, il cittadino si sentirà più solo» gli ha fatto eco il segretario, Salvatore Casciaro.
Effettivamente i numeri dicono che qualcosa accadrà. Cancellerà il passato per chi è già stato ritenuto colpevole: e quindi amministratori, certo. Ma anche tecnici: ingegneri di uffici pubblici, medici, professori universitari, magistrati. Ma contemporaneamente si renderanno impunite per il futuro anche fattispecie di reato che, altrimenti, non potrebbero essere colpite.
I numeri, quindi. Il ministero, per motivare la scelta di abolire l’abuso di ufficio, ha fatto notare come nel 2021 a fronte di 4.745 iscrizioni nel registro degli indagati soltanto 18 erano state le condanne in primo grado (513 erano però i procedimenti istruiti). Vero, ma questo era dovuto alla riforma Cartabia che già aveva fortemente ristretto i criteri di applicazione del reato: per dire, nel 2016 le condanne erano state cinque volte di più. «Nel 2021 – fa notare in un suo lavoro Roberto Garofali, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio con il governo Draghi e giurista raffinato – il rapporto tra archiviazioni e numero complessivo di procedimenti definiti è assai alto: 85 per cento». Ogni dieci fascicoli aperti, 8,5 venivano archiviati. «Ma è altrettanto rilevante che il dato medio nazionale è pari al 62 per cento. E che molte altre tipologie di reato hanno numeri come quelli dell’abuso. Significa che dovremmo ripensare, se non abolire, parti intere del catalogo delle incriminazioni?» si chiede Garofoli. Che a più riprese, proprio per evitare l’effetto colpo di spugna, aveva proposto non l’abolizione del reato ma una sua riformulazione. Ipotesi che avrebbe anche evitato il braccio di ferro con l’Europa.
Tornando ai numeri è interessante anche vedere – il contributo è di una giurista milanese, Cecilia Paglia, per una tesi di dottorato del 2023 – se davvero, come hanno spiegato il Governo e il ministro, l’abolizione dell’abuso di ufficio “libererà” i pubblici amministratori dalla paura della firma. In realtà non è vero: soltanto un quarto delle sentenze sull’abuso di ufficio riguardano i sindaci (in un caso su due risultano colpevo-li), un numero assai più basso rispetto ad altri pubblici ufficiali con incarichi tecnici. Per esempio un alto numero di sentenze riguardano il settore dell’edilizia: non saranno più punibili quei pubblici ufficiali che rilasciano permessi di costruire illegittimi (79 sono state le sentenze tra il 1997 e il 2022). Impunite resteranno anche quelle “collusioni” tra medici e cliniche private che si accordano per accaparrarsi pazienti, “indirizzando – si leggenella ricerca – a cliniche private per il compimento di esami e trattamenti accessibili anche in strutture sanitarie pubbliche”. Quarantaquattro sentenze riguardano invece abusi in selezioni pubbliche: favorire un candidato piuttosto che un altro, in mancanza di specifici elementi (scambio o promesse di denaro) da oggi potrebbe non essere più un reato.