La questione salariale è la prima che si affaccia quando si chiede ai lavoratori se sono soddisfatti del loro lavoro. E il tema è che quasi un lavoratore su due è insoddisfatto della sua busta paga, secondo quanto emerge da una ricerca di Changes Unipol, realizzata con Ipsos, sul rapporto degli italiani con il lavoro. L’indagine ha considerato un campione di 1.720 persone, rappresentativo della popolazione di età 16-74 anni, che comprende oltre 44 milioni di individui, e dei residenti nelle principali aree metropolitane, secondo genere, età, area geografica. Uno degli elementi più significativi che emerge è che il 44% degli italiani ritiene il livello del proprio stipendio poco o per nulla soddisfacente, mentre l’altra parte si dichiara abbastanza o molto appagata (56%).
La perdita di potere di acquisto
Il contesto economico sicuramente fornisce elementi per spiegare la spaccatura nelle risposte tra chi è soddisfatto e chi no. Se è vero che i dati Istat dei primi mesi dell’anno mostrano un rallentamento della dinamica inflattiva (si veda altro pezzo in pagina), lo è anche che gli effetti della fiammata dei mesi scorsi pesa ancora sulle tasche di chi ha i redditi più bassi e vive nelle grandi città del nord dove il costo della vita è più alto.
La riduzione del cuneo
Le aspettative di chi ha le buste paga più basse oggi sono molto elevate e vanno in due direzioni: una è l’effetto della riduzione del cuneo fiscale, l’altra degli aumenti contrattuali. Nel confronto internazionale il nostro paese emerge come uno di quelli con il cuneo fiscale più elevato, come raccontano i dati Ocse. Il taglio previsto dal Governo con il nuovo decreto legge potrebbe innescare un miglioramento dei livelli retributivi, per chi ha i redditi più bassi, già a partire da questo mese. Gli aumenti contrattuali potrebbero poi fare il resto.
I più insoddisfatti
La ricerca Changes Unipol e Ipsos spiega che l’insoddisfazione dei lavoratori è equamente distribuita dal punto di vista del genere: riguarda infatti il 44% degli uomini e il 44% delle donne. Ci sono però delle differenze generazionali che raccontano la maggiore insoddisfazione di chi è entrato da poco nel mercato del lavoro e che evidenziano stipendi di ingresso bassi: soltanto il 49% dei giovani della generazione Z (16-26 anni), all’inizio del proprio percorso professionale, si dichiara soddisfatto della retribuzione, a fronte di una quota del 57% dei millennials (27-40 anni), del 58% della generazione X (41-56 anni) e del 56% dei baby boomers (57-74 anni).
Le differenze geografiche
Se la lettura si fa per aree geografiche invece i più soddisfatti sono coloro che vivono nelle aree del paese dove il costo della vita è più basso. Ecco allora che tra i lavoratori delle città del Sud e delle Isole il 62% si dice soddisfatto di quanto guadagna. Risalendo la penisola, al Nord e al Centro Italia, i soddisfatti scendono di quasi 10 punti e sono il 53%.
Il peso dello stipendio
Le risposte delle persone spiegano perché tra i criteri di scelta nella valutazione di un’offerta di lavoro la retribuzione torna ad essere rilevante: viene infatti indicato dal 50% di coloro che lavorano. E sembra molto più importante della vicinanza a casa, indicata dal 33%. O della stabilità/solidità dell’azienda (30%), e dell’allineamento del ruolo offerto con le proprie aspirazioni (29%). Risultano importanti, ma non prioritari, la possibilità di conciliare il lavoro con le esigenze della vita privata che viene indicata dal 27% e lo smart working che viene indicato come importante dal 18% degli intervistati tra chi lavora e dal 20% tra chi sta cercando lavoro. Sul tema della conciliazione vita lavoro le donne appaiono molto più attente – come anche i millennials – mentre gli uomini sono più interessati alla solidità dell’azienda, alla motivazione e all’incentivazione del merito.
Cambiare lavoro
Dall’insoddisfazione verso la retribuzione e le condizioni di lavoro alla scelta di cercarne uno nuovo il salto non appare così difficile. Tra i lavoratori intervistati uno su due sta pensando di cambiare lavoro. Una percentuale che sale al 76% tra chi è insoddisfatto. I più attivi sul mercato sono i millennials, che nel 63% dei casi si stanno almeno guardando intorno, mentre quasi fermi appaiono i Boomers, che solo nel 14% dei casi stanno prendendo in considerazione un cambiamento. I motivi che spingono a cambiare posto di lavoro, nel 36% dei casi sono racchiusi nell’arrivo di un’offerta migliorativa o comunque molto allettante. A seguire la retribuzione non adeguata che viene indicata dal 31% degli intervistati. Poi ritmi di lavoro troppo pesanti (19%), clima aziendale non soddisfacente o cattivi rapporti interni (17%) e l’esigenza di conciliare meglio lavoro e vita privata (17%). Soltanto il 15% cambierebbe a causa di scarse possibilità di carriera e solo il 14% perché ha una forma contrattuale non soddisfacente.
Conciliazione, ma a parità retributiva
In un caso su due la modalità di lavoro preferita è quella ibrida, che coniuga il lavoro in presenza con quello da remoto e che viene indicata dal 52% degli intervistati, a fronte del 33% che vuole lavorare in presenza. Al contrario solo il 15% considera ideale lavorare al 100% da remoto. Molto appealing, come dice ancora una volta un lavoratore su due, è l’idea della settimana lavorativa corta, a parità di ore complessive e stipendio. Però, poi, facendo la prova del nove per capire effettivamente il peso della retribuzione emerge che solo il 10% dei lavoratori accetterebbe di rinunciare subito ad una piccola percentuale della retribuzione per migliorare il proprio work-life balance.