La Confindustria accenna persino all’eventualità che il mondo sia investito, come dice Larry Summers, dalla maledizione della “stagnazione secolare”. Se lo chiedono le slides che il capo del Centro studi Luca Paolazzi, snocciola inesorabilmente. Scorrono, l’uno dopo l’altro, i mali del pianeta ben catalogati. Aprono le variabili geopolitiche, dal Brexit al golpe turco.
Seguono i problemi demografici: un grafico da brividi mostra come, al di là di culture e leggi, e delle previsioni di qualche anno fa, la popolazione del mondo stia diminuendo. Frena il commercio mondiale, anche a causa del ritorno del protezionismo: secondo il Global Trade Alert nei primi otto mesi del 2016 sono state introdotte 350 misure restrittive tra tariffe e sussidi. Rallenta la Cina (si avvicina ad una più modesta crescita coreana), rallenta l’area euro e persino gli Usa, fucina di innovazioni, faticano a tenere alto il tasso di produttività.
Se questo è il terribile scenario globale, che può fare la barchetta italiana? Poco, veramente poco. Lo dimostrano le cifre: prima, durante e dopo la Grande recessione, il nostro paese ha fatto performance peggiori di Germania, Francia e Spagna: è caduto più pesantemente e si è rialzato molto più lentamente. Nei quindici anni tra 2000 e 2015, il Pil è cresciuto, ad esempio, in Spagna del 23,5 per cento e calato in Italia dello 0,5. Il prossimo anno non andrà meglio: la stima della Confindustria è 0,5 per cento, la più bassa di quelle che circolano, un terzo di quella del governo ancora ferma per pochi giorni — in attesa della nota di aggiornamento al Def — all’1,4 per cento. Se andasse così, e se non arrivasse la flessibilità, la manovra dovrebbe salire a 16,6 miliardi piuttosto che fermarsi ai 6-7 previsti.
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, economista avvezzo alle previsioni, non polemizza: «Le stime del governo potrebbero essere migliori perché basate su stime di policy diverse da quelle assunte dalla Confindustria », si limita a dire con tono severo alludendo forse a quell’1-1,1 per cento che potrebbe essere fissato nel nuovo quadro macro dell’esecutivo. Non si esprime neanche sulla manovra anche se ripete più volte che siamo su «un sentiero stretto». Persino il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia cerca, forse per fair play, di attenuare il pessimismo: «Sono orgoglioso del Centro studi, ma tifo per il governo e spero che si sbagli».
Ma al ministro del Tesoro non sfugge l’analisi complessiva della crisi del pianeta: le prospettive di crescita, per Padoan, sono «modeste»,«distribuite in modo diseguale e con rischi al ribasso ». Per spiegarne le cause il ministro dell’Economia ricorre al concetto di «incertezza» che porta a «rinviare le decisioni di spesa e alimenta le aspettative di ribasso ». Ma qualcosa che non funziona nell’economia mondiale ci dev’essere se Padoan prosegue: «Prima, dopo una caduta dell’economia seguiva una forte accelerazione del Pil, oggi questo non sta avvenendo». Responsabili: molto risparmio e bassa propensione agli investimenti. «Se questo è il new normal, bisogna cambiare», dice.
Quando la crisi mondiale atterra sulla Penisola tuttavia i toni si fanno più prudenti. Secondo Padoan il rallentamento globale non deve essere un alibi o una «scusante» per arrendersi: le riforme innestate, aggiunge il ministro, sono una «molla» che scatterà a tempo quando cominceranno a produrre effetti, rivendica il taglio dell’Ires per il prossimo anno e i riflessi economici positivi del referendum costituzionale. La strada per recuperare il tempo perduto non sembra breve.
Repubblica – 16 settembre 2016