Lo sciopero è rientrato ma l’accordo è ancora lontano. Da mesi il mondo dei medici è impegnato in una «battaglia» per il rinnovo contrattuale e una riforma del sistema che sta spaccando la categoria. La «coperta» del welfare è ormai molto corta e sempre di più le Regioni pensano a tagli nel settore sanità.
L’origine di tutto sta nella convinzione, da parte dei professionisti, che sia a rischio la stessa sopravvivenza della figura del medico di base. Per questo è partita la campagna «Io non vado col primo che capita. Il mio medico di famiglia lo scelgo io». Con la gestione della sanità in mano alle regioni (costrette a tagli di bilancio), il paziente, temono i medici, potrebbe infatti trovarsi a scegliere soltanto la struttura di riferimento per l’assistenza della medicina di base e non più il nome del professionista.
La sfida
«È in atto un’enorme trasformazione della nostra società — avverte Salvo Calì, presidente nazionale del sindacato dei medici italiani —. Tutti concordiamo su un’evidenza epidemiologica: è mutata la domanda di salute, la popolazione anziana è in crescita esponenziale e con essa l’impatto delle cronicità e delle malattie invalidanti, un altro fattore è l’aumento della povertà e, quindi, il riemergere di vecchie patologie, a causa della crisi economica. Quindi, è in discussione la centralità del paziente, della prevenzione e della sua malattia, ma anche la necessità di una riorganizzazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali, una ridefinizione dell’ospedalità e delle cure primarie. Di fronte a questa sfida epocale cosa fa la politica? Cambia tutto per non cambiare niente. Solo alcuni esempi: invece di puntare con le aggregazioni sulla risposta funzionale si punta a strutture rigide, rimane oscura la messa in rete delle professionalità operanti sul territorio, non si chiarisce come si dovranno interfacciare la continuità dell’assistenza e l’emergenza-urgenza. Si punta sul ruolo unico, ma senza tempo pieno, non si precisa il futuro degli attuali ambulatori di medicina generale».
Le proposte
L’intenzione delle Regioni è quella di creare delle aggregazioni funzionali territoriali, una sorta di maxi-ambulatori dove gli specialisti assisteranno a turno i pazienti con il rischio che così (sostengono i sindacati ) venga abolito il medico di famiglia. «Non è un problema che riguarda solo noi — afferma il segretario nazionale dei medici di famiglia Fimmg Giacomo Milillo —. La cosa più a rischio, e per cui protestiamo, è la scomparsa del Servizio sanitario nazionale. Sostanzialmente si sta abolendo il medico di famiglia e la possibilità di scelta del cittadino. Non firmerò una convenzione che vuole abolire il medico di famiglia».
Il governo però ha riaperto la trattativa e sembrerebbe pronto al dialogo. «D’accordo, ma serve un nuovo strumento normativo che preveda il ruolo unico e il tempo pieno — sostiene Calì —. Un contratto che consenta di superare l’attuale divisione tra dirigenti e convenzionati e di sconfiggere il precariato endemico del nostro Servizio sanitario nazionale. Il contratto unico dei medici italiani, a tutele crescenti, può essere la strada per rottamare una situazione ormai ingovernabile, figlia della cultura del secolo scorso, che oltretutto sta trasformando, tra blocchi dei contratti e del turn over, e convenzioni a perdere, gli ospedalieri in precari a tempo. E i medici di famiglia da parasubordinati in para-dipendenti di serie B, senza diritti e tutele».
Corriere Economia – 25 maggio 2015