Si sta rivelando un percorso ad ostacoli quello che il professor Tito Boeri deve compiere per entrare all’Inps da presidente. Non quella passeggiata sul tappeto rosso che forse Matteo Renzi aveva immaginato quando, il 24 dicembre, senza che nessuno se l’aspettasse, scelse una star della Bocconi per la guida dell’istituto che gestisce le pensioni.
In commissione Lavoro alla Camera, che deve dare un parere non vincolante entro il 3 febbraio, il relatore di maggioranza, Sergio Pizzolante (Area popolare), ha proposto un documento dove, pur esprimendo «un giudizio complessivamente positivo sul profilo accademico della nomina proposta», si osserva che da esso non risulta «una specifica capacità manageriale e una qualificata esperienza nell’esercizio di funzioni attinenti al settore operativo dell’ente», requisiti entrambi richiesti dal decreto legislativo 479 del 1994 che disciplina la nomina del presidente dell’Inps. Per questo Pizzolante, d’intesa con il presidente della commissione, Cesare Damiano (Pd), ha chiesto che il governo fornisca chiarimenti.
Nel frattempo, il vicepresidente della stessa commissione, Renata Polverini (Forza Italia), ha proposto un’audizione di Boeri proprio sui punti sollevati da Pizzolante. «Ho riscontrato che anche gli altri gruppi sono d’accordo sulla richiesta di audizione — annuncia Damiano — e quindi, dopo aver informato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e lo stesso Boeri, la fisseremo, probabilmente per la prossima settimana».
Che la nomina di Boeri sarebbe stata accolta con un moto di resistenza nel palazzone dell’Eur sede dell’Inps e nei palazzi della politica non era difficile prevederlo. Innanzitutto per le modalità con le quali avvenne. Così a sorpresa che lo stesso Poletti, non seppe nulla fino all’ultimo della decisione del presidente del Consiglio di cambiare in corsa il vertice dell’istituto di previdenza. Un fulmine a ciel sereno per Poletti che credeva archiviata la pratica con la nomina, appena due mesi prima, di un commissario straordinario del peso di Tiziano Treu, grande giuslavorista, più volte ministro ed ex parlamentare del Pd. Commissario che non solo Poletti ma un po’ tutti davano per scontato sarebbe poi diventato presidente dell’Inps con l’attesa riforma della governance. E invece Renzi, con una mossa delle sue, sparigliò, puntando sul 56enne economista milanese, estraneo a quel giro romano di potere sindacal-governativo che ha sempre gestito l’istituto. Poletti non solo ci rimase di stucco, ma ci fece una brutta figura. E adesso gli tocca pure sbrogliare la matassa.
La scelta di Boeri, tra l’altro, ha messo in forse anche il rinnovo del mandato del direttore generale, Mauro Nori, in prorogatio fino al 15 febbraio, che era dato per scontato sotto Treu, con il quale Nori ha un ottimo rapporto personale. Ora invece non si escludono anche qui sorprese. E tutta la tecnostruttura è in fibrillazione, temendo l’arrivo di un esterno. I palazzi della politica si interrogano invece su quale sia il reale mandato dell’economista della Bocconi che sul suo sito lavoce.info , dal quale si è autosospeso dopo la nomina, più volte ha proposto interventi sia per flessibilizzare la riforma Fornero, tema guardacaso rilanciato ieri da Poletti, sia per introdurre meccanismi di ricalcolo e prelievo sulle pensioni più elevate che non hanno alle spalle una adeguata storia contributiva. Ipotesi queste che allarmano trasversalmente lo schieramento politico e sindacale.
Treu, infine, che anche lui seppe solo a cose fatte, e non da Renzi, del ribaltone che lo riguardava,aspetta il perfezionarsi della nomina di Boeri. Che forse il premier avrebbe potuto preparare meglio.
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 23 gennaio 2015