Luca Zaia, a Genova prima e a Pontida poi lei, Maroni e Toti vi siete definiti «populisti responsabili». Scusi l’impudenza, ma che significa? «Per me il “populista responsabile” è il politico che, tenendo fede al contratto sociale di Rousseau, parte dai problemi quotidiani della gente, quelli che alcuni chiamano con spregio “la pancia” (e qui sta il populismo ), per poi cercare di risolverli con soluzioni concrete e pragmatiche (e qui sta la responsabilità ). Credo che questo tipo di figura oggi sia ben incarnata dai tre governatori di Veneto, Lombardia e Liguria, che s’incontrano e si confrontano per dare risposte ai loro territori sui temi dell’immigrazione e della finanza pubblica».
Dunque lei è il populista responsabile e Salvini il populista-e-basta? Zaia è il moderato che rassicura in giacca e cravatta e Salvini il radicale che spaventa con la felpa?
«Questo è un tormentone che sento da quando sono in politica, sempre in antagonismo al segretario di turno, da Bossi a Gobbo. Il segretario è il segretario e detta la linea. Il governatore è il governatore ed è chiamato a concretizzare quella linea con atti amministrativi. Non c’è alcuna contrapposizione tra me e Matteo, ognuno fa il suo mestiere e mi pare che la sintesi sia ottima».
Dunque Zaia non si candiderà a premier rubando la scena a Salvini all’ultimo giro di boa, magari col placet di Berlusconi…
«Ma figuriamoci, non ci penso neanche, no. A suggerirlo è chi ci vuole male, secondo la logica del divide et impera ma così non si danneggiano solo Zaia e Salvini, si danneggiano i veneti perché ormai ogni mia parola, ogni mia rivendicazione per il bene della mia regione, viene letta in modo distorto come finalizzata a chissà quale scalata al governo».
Ma lei crede davvero che la Lega di Salvini, con i contenuti di Salvini e i toni di Salvini, possa arrivare al governo del Paese?
«Altro tormentone smentito dalla storia. Se lo ricorda il 1994? All’epoca tutti dissero: i leghisti al governo con Berlusconi? Ma siamo pazzi? Arrivano i trogloditi a Palazzo Chigi. Sappiamo com’è andata a finire. E quando predicavamo il federalismo? Ora sono tutti federalisti, anche il Pd. E le cose stanno prendendo una piega identica anche sui temi dell’immigrazione, altro che razzismo. Guidiamo due regioni importantissime, perché non dovremmo guidare l’Italia?».
I sondaggi vi danno al 13%.
«Noi leghisti siamo chiamati adesso ad un compito difficile e delicato: mettere a punto un programma di governo credibile, convincente, concreto. È quello che stiamo provando a fare con Maroni e Toti, capitolo dopo capitolo».
Con Toti ma intanto Forza Italia è nel caos e con essa quel che resta del centrodestra. E Parisi?
«Non lo conosco. In ogni caso, senza rinnegare la nostra storia, dobbiamo uscire dallo schema centrodestra-centrosinistra, che tra qualche anno ci sembrerà obsoleto come quello guelfi-ghibellini. La legittima difesa è un tema di destra o riguarda tutti i cittadini? E la gestione dell’immigrazione? Renzi parla alla sinistra? È di destra? Il nostro scenario politico è tripolare, agganciato a tre leadership chiarissime: Renzi, Salvini e Grillo».
Il Movimento Cinque Stelle la preoccupa? Intercetta filoni ampi della vostra narrazione politica, è «anti» come la Lega ma a differenza vostra gioca la partita in tutto il Paese.
«Rispetto i Cinque Stelle e li seguo dai tempi della candidatura di Borrelli a Treviso, come ascolto chiunque dimostri di saper fare presa sull’elettorato. Ma Roma stanno dando la misura di chi sono veramente: non puoi costruire il tuo successo sulla distruzione della dignità delle persone, sulla gogna continua, sugli avvisi di garanzia per un eccesso di velocità. Il gioco è pericoloso e infatti gli si sta rivoltando contro: fossero stati all’opposizione, che avrebbero detto e fatto a Roma? Ci sarebbe l’occupazione del Campidoglio».
Torniamo alla Lega. Addio indipendenza, ma quale Padania: ora Zaia si accontenta dell’autonomia?
«Sarebbe banale risponderle, come spesso si fa, che la Padania resta scolpita nell’articolo 1 dello statuto della Lega. Quello è il sogno e se oggi chiedessi in giro: “Vuoi l’indipendenza”, chi mai mi risponderebbe di no? Nell’attesa che si avveri il sogno, però, non possiamo stare con le mani in mano, dobbiamo provare ad avanzare step by step . Il mio modello è quello scozzese, non quello catalano che pure spero abbia successo. Poi d’accordo, ci sono indipendentisti ortodossi che non ci stanno e si arrabbiano, alcuni di loro non volevano neppure che andassi a Roma a fare il ministro…».
E invece lei oltrepassò il Po. Ci ha provato pure Salvini, arrivando fino alla Sicilia, ma non è andata benissimo.
«La Lega è il sindacato del Nord, inutile nascondercelo: è così e sarà sempre così. Lo confermano le parole d’ordine sentite a Pontida: virtuosità, costi standard, lotta agli sprechi. Ciò detto, vogliamo continuare a pagare il conto di quella parte dell’Italia che non riesce a riscattarsi oppure vogliamo aiutarla a rialzarsi, dando voce a istanze che ci sono ma non ce la fanno ad emergere? Se i forconi sono nati in Sicilia un motivo ci sarà».
La svolta lepenista, che tanti malumori sta alimentando nella Lega, la convince?
«Va riconosciuto a Salvini di aver intercettato prima di tutti in Italia un sentiment che poi sarebbe dilagato in Europa, d’aver capito che l’euroscetticismo si sarebbe diffuso e non per colpa dei leader che lo interpretano, dalla Le Pen a Orban, ma perché la gente non ne può più e pretende delle risposte. A suon di batoste elettorali lo sta capendo anche Merkel. Vedrete cosa accadrà in Austria. E poi c’è Trump».
Anche Renzi dopo il vertice di Bratislava ha avuto parole dure per l’Europa a trazione franco-tedesca. E medita di togliere al Viminale la gestione dei migranti per portarla sotto il suo diretto controllo a Palazzo Chigi.
«Così facendo ha certificato pubblicamente il fallimento delle sue politiche sui migranti, portate avanti da una maggioranza che governa ininterrottamente oramai dal 2011, e dimostra il suo scollamento dal popolo. Si deve ripartire dagli 8 punti del manifesto di Genova messo a punto da noi, dai tre governatori».
Avanti tutta con l’Italexit dunque.
«Il progetto mi convince perché la Brexit, agitata per tutta Europa come uno spauracchio, non è stata affatto la catastrofe annunciata ed anzi, alla fine è stata premiata dai mercati. Certo va considerato che l’Italia non è l’Inghilterra, sia sul piano economico che su quello, ben più preoccupante, del debito pubblico».
In chiusa, una curiosità: lei avrebbe dato del traditore a Ciampi?
«Possiamo forse discutere delle modalità e dell’opportunità ma di sicuro Salvini non ha difettato di coerenza: ha sempre attaccato Ciampi e sarebbe stato ipocrita cambiare rotta nel giorno della morte. Ovviamente si parla del Ciampi politico, perché sul piano umano, di fronte ad un lutto, siamo tutti dispiaciuti».
E se la sarebbe presa con il Papa?
«C’è ancora chi rimpiange Papa Giovanni Paolo II, perfino Papa Luciani e Salvini non può dire che questa Papa non gli piace, che preferiva il Ratzinger di Ratisbona? E perché mai?».
Marco Bonet – Il Sole 24 Ore – 20 settembre 2016