Le ricette della nonna e della mamma, con il loro carico di memoria, continuiamo a conservarle nel cuore, a volte anche trascritte in qualche vecchio quaderno, ma cuciniamo sempre meno, sempre più spesso mangiamo fuori casa e ordiniamo on line pasti a domicilio. Abbiamo imparato che è bene ridurre il sale e la carne rossa, contenere i carboidrati complessi e aumentare il consumo di verdure. Ma anche a tavola, come altrove, noi italiani siamo pieni di contraddizioni, e tra tutte le regole, questa è la prima che rispettiamo. Perché se siamo diventati più consapevoli dell’importanza che l’alimentazione ha per il nostro benessere, e siamo dunque (sulla carta) più attenti alla provenienza e alla qualità di ciò che mangiamo, solo il 53,3% consuma verdure e ortaggi quotidianamente e – nonostante le tendenze vegetariane e vegane emerse negli ultimi anni (soprattutto fra i giovani) – il consumo di carne rimane diffuso. Intanto l’obesità continua ad aumentare pericolosamente: 5,3 milioni di persone sono obese, con un aumento di un milione negli ultimi 15 anni, mentre 18 milioni sono sovrappeso.
La salute prima di tutto
Come siamo cambiati e quali sono «I nuovi stili alimentari degli italiani» è raccontato nel rapporto annuale della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), presentata ieri a Roma dal presidente Lino Enrico Stoppani alla presenza del ministro della Salute e medico Giulia Grillo: «Nutrirsi bene è importante. Se c’è una cosa sulla quale non si deve risparmiare assolutamente è il cibo – ha detto il ministro – Naturalmente il costo alto non è sempre sinonimo di alta qualità, per questo noi insistiamo molto sull’etichettatura, sulla filiera. Per questo abbiamo anche firmato un’intesa con il Miur per diffondere informazioni relative alla salute nelle scuole. L’equilibrio è fondamentale: non essere “esaltati” sulla salubrità dei cibi, ma essere moderati nel consumo di alimenti potenzialmente nocivi».
Il tempo si accorcia
Uno degli elementi negativi che emerge dallo studio della Fipe è il progressivo ridursi de tempo dedicato a cucinare: 37 minuti in media, mentre ancora più ridotto è il tempo riservato a consumare il pasto: 29 minuti in media nel 54,1% dei casi. «Siamo un Paese dalla grande tradizione culinaria, dove al pasto sono sempre associati i valori di relazione e convivialità – commenta Stoppani – ma il cambiamento dei ritmi e degli stili di vita sta modificando sensibilmente le nostre relazioni con il cibo» Così, se nel 1998 il 78% delle persone erano solite pranzare a casa, in 20 anni la percentuale è scesa al di sotto del 72%, una contrazione che in assoluto equivale a circa 3,5 milioni di persone.
Anche la spesa vuole la sua parte: il 48,6% degli intervistati dedica da una a due ore a settimana agli acquisti con un tempo medio settimanale di 105 minuti. Si nota un ritorno alla piccola spesa, ben il 50,1% degli intervistati preferisce acquistare il necessario giorno per giorno. La scarsità di tempo a disposizione e l’abitudine a cucinare meno si riflettono in una nuova consuetudine: l’utilizzo di piattaforme di food delivery: nell’ultimo anno il 30,2% degli italiani ha avuto occasione di ordinare online il pranzo o la cena da piattaforme web: fenomeno molto più diffuso al Nord che al Centro e al Sud del Paese, con la Lombardia in cima alla lista.
Sono comunque ancora molti , il 44,6% nello specifico, gli italiani che vivono il momento di mettersi a tavola come un’occasione di relax e per riunire la famiglia. Alcune tradizioni, insomma, non si scordano mai, ad esempio ben il 75% degli intervistati dichiara di conoscere ricette o piatti tradizionali che si tramandano di generazione in generazione, grazie alla santa istituzione rappresentata dalle nonne. Se non ci fossero loro, chissà cosa mangeremmo.
La Stampa