Paolo Russo. C’è chi, come la Asl di Bolzano, per curare ogni singolo assistito ha in «dote» dalla sua regione 2.421 euro e chi, come gli assistiti di Pordenone dell’azienda sanitaria del Friuli occidentale, deve accontentarsi di 661 euro. E questi sbalzi si verificano anche all’interno di una stessa regione. In Sicilia la Asl di Palermo ha a disposizione 988 euro ad assistito, mentre Enna incassa per ogni cittadino 1.681 euro.
È l’altra faccia degli sprechi in sanità, quella fino ad oggi mai indagata.
Una elaborazione della rivista specializzata «About Pharma» su dati della Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali, mette in luce gli sprechi evidenziando le mille distorsioni del sistema di finanziamento delle nostre aziende sanitarie pubbliche. Che produce sicuramente più sprechi dei prezzi divergenti delle siringhe perché finisce per ripartire i fondi in base al principio della spesa storica, per cui ti pago per quello che spendi, magari male, e non per quello che fai e per come lo fai.
Lo studio della Fiaso, dal quale sono state elaborate le classifiche, del resto dice a chiare lettere che nessuna delibera regionale di riparto del fondo sanitario prevede premi per chi ha ben gestito. Il fatto che non siano poche le aziende sanitarie che offrono servizi di qualità con pochi finanziamenti dimostra poi che qualche economia in più, rispetto ai soliti tagli, si potrebbe realizzare distribuendo meglio le risorse in partenza. E invece: spesso i finanziamenti alla Asl non rispondono né ai fabbisogni sanitari della popolazione, né ai costi di produzione dei servizi offerti; la ripartizione dei fondi avviene al di fuori di ogni programmazione, definita dal Piano sanitario regionale solo in 9 regioni. E il tutto in un contesto di incertezza sulle risorse disponibili per consentire alle Asl di fare il loro lavoro, visto che le delibere regionali di assegnazione dei fondi vengono approvate a fine anno di esercizio se non nell’anno successivo. E qui tra quote trattenute centralmente dalle regioni, ripiani dei debiti ex post, diversi criteri di «pesatura» della popolazione assistita si arriva a scarti da tre cifre percentuali tra Asl magari confinanti. Fatto che rischia di generare anche iniquità di trattamento tra gli assistiti d’Italia.
I fondi alle Regioni
Il sistema non funziona granché nemmeno quando sono le Regioni a spartirsi tra loro i 110 miliardi La logica è quella di premiare chi ha un maggior numero di anziani da assistere. Ma le regioni meridionali la contestano, sostenendo la necessità di spartire le risorse anche in base a un indice di deprivazione, perché chi vive ai limiti della soglia di povertà ha comunque più necessità di assistenza. E poi alcune regioni stornano parte delle risorse sanitarie destinandole ad altre funzioni, altre fanno l’esatto contrario. Così in Abruzzo, Valle d’Aosta, Trento Bolzano si viaggia oltre i 2.000 euro ad assistito, mentre in Friuli ci si accontenta di 1.022 euro.
Tornando alle singole Asl, oltre a Bolzano in cima alla classifica di quelle che ricevono la dote più alta, sempre superiore ai duemila euro pro-capite, troviamo le aziende di Trento ed Aosta e tutte quelle abruzzesi, seguite con 1.951 euro dalla Asl Roma E. Una pioggia di denaro, rispetto alle 50 aziende che ricevono meno della media nazionale di 1.444 euro, che in parte ha delle spiegazioni. Le Asl abruzzesi ricomprendono anche tutti gli ospedali della regione e la «Roma E», nell’anno di rilevazione dei dati, ha percepito ben sette milioni di ripiano debiti a pie’ di lista. Che poi è un’altra riprova del fatto che più sprechi e più soldi ricevi.
Decisamente sopra la media nazionale di risorse a disposizione per assistito troviamo anche le Asl Torino 2 e 4, rispettivamente con 1.872 e 1.670, mentre ad Alessandria vanno 1.703 euro.
La spending review
«Buona parte di questi scarti non trova giustificazione se non nel fatto che si continuano a finanziare le Asl in linea con quanto speso l’anno precedente, senza alcuna aderenza ai reali fabbisogni sanitari del territorio», spiega il professor Federico Spandonaro, economista del Crea sanità-Tor Vergata che ha coordinato lo studio Fiaso. «I numeri – gli fa eco il presidente della federazione della Asl e degli ospedali, Francesco Ripa di Meana – non sono indicatori di iniquità assoluta perché evidentemente ci sono aziende che, con meno, fanno lo stesso di altre più ricche. E il management ha un ruolo importante nell’attutire le differenze e perseguire l’equità». Anche se su quei numeri è probabile finisca per buttare un occhio anche il governo impegnato nell’ennesima spending review.
La Stampa – 26 aprile 2015