Chiusa da pochi mesi la vertenza in sede Ue con la Gran Bretagna, l’Italia torna in campo contro la possibilità di introduzione dell’etichetta nutrizionale “a semaforo” per gli alimenti confezionati. La proposta è di qualche giorno fa ed è stata formulata da alcune multinazionali del settore (Coca Cola, Pepsi, Unilever, Nestlè e Mars) nell’ambito di un programma per contrastare l’obesità e le malattie cardiovascolari generate da una scorretta alimentazione. L’etichetta nutrizionale a semaforo non fa altro che indicare con i colori verde, giallo e rosso i contenuti in sale, grassi e zuccheri di un determinato alimento.
Il problema – per gli agricoltori e l’industria di trasformazione alimentare italiana – è che moltissimi prodotti tipici del made in Italy rischiano di finire sugli scaffali dei supermercati con etichette rosse, allontanando potenzialmente il consumatore. Un esempio: il prosciutto italiano Dop è stagionato dopo una sapiente salatura. Questo, secondo la classificazione del semaforo, confina il prosciutto come prodotto ricco di sale, quindi dannoso. Lo stesso vale per i nostri formaggi a pasta dura come grana padano e parmigiano reggiano che presto potrebbero avere l’etichetta rossa.
Ad aggravare il quadro, un decreto di prossimi pubblicazione in Francia che istituisce – per ora su scala volontaria come in Gran Bretagna – l’etichetta nutrizionale a semaforo Nutriscore, mentre un provvedimento analogo sarebbe allo studio del ministero della Sanità in Belgio.Nei giorni scorsi il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, ha rimarcato con forza il “no” dell’Italia a questo sistema di classificazione. E ieri il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo e quello di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, hanno incontrato a Strasburgo il rappresentante permanente aggiunto d’Italia presso l’Ue, ambasciatore Giovanni Pugliese e gli europarlamentari Paolo De Castro ed Elisabetta Gardini. Un’azione di lobby a difesa delle peculiarità del made in Italy.
Secondo un focus presentato nel corso dell’incontro, circa l’85% delle produzioni a denominazione di origine (Dop) italiane potrebbero essere colpite dall’etichetta rossa. Il che significa colpire un settore dell’agroalimentare del made in Italy che vale 11,5 miliardi con oltre 70mila addetti. «La Ue deve intervenire per impedire un sistema di etichettatura, fuorviante discriminatorio ed incompleto che finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta», dice il presidente di Coldiretti, Moncalvo.
Riferendosi al Global health index, Luigi Scordamaglia dice che «non esiste risposta migliore per ribadire ancora una volta che risultati come questi si ottengono anche combattendo chi pensa di proporre l’adozione di sistemi di etichettatura fuorviante, come ad esempio quella a semaforo, che rappresentano un chiaro abbassamento della qualità e standardizzazione». Parlando quindi delle posizioni espresse dal Commissario Ue, Andriukaitis, secondo cui le questioni relative all’etichettatura devono essere risolte, non a livello comunitario, ma dai singoli Paesi privilegiando il criterio della semplicità , il presidente di Federalimentare rilancia: «È un fatto gravissimo che la Commissione ancora una volta latiti, pensando di poter delegare ai parlamenti dei 27 Stati una questione cruciale come questa».
Le valutazioni. I nutrizionisti bocciano i criteri. Confronto falsato dalle porzioni
«L’etichetta nutrizionale a semaforo è nata con buone intenzioni ma la gestione operativa è stata pessima: non si tiene conto delle porzioni medie consumate. E, alla fine, è diventato uno strumento di protezionismo commerciale di un Paese. E forse due»: Giorgio Calabrese, nutrizionista e docente universitario, non usa mezzi toni per indicare come la pensi sul tema delle etichette a semafori.
Ma che cos’è precisamente l’etichettatura a semafori? Si tratta di un sistema introdotto nel Regno Unito, fortemente voluto dal ministero della Salute britannico per contrastare l’obesità. Le etichette dei prodotti alimentari distribuiti nel Regno Unito riportano un piccolo semaforo che indicano al consumatore il giudizio sul prodotto che si vorrebbe acquistare. I colori del semaforo indicano il contenuto di zuccheri, sale, grassi e calorie per 100 grammi di prodotto. Il rosso (pericoloso per la salute) sta per un contenuto alto di grassi, zuccheri o sale; il giallo indica una quantità media e il verde un contenuto basso.
«La prima considerazione – spiega Calabrese – è che 100 grammi non rappresentano una porzione standard valida per tutti gli alimenti, tra cui proprio quelli citati come penalizzati da questo sistema di etichettatura: olio extravergine di oliva, Parmigiano reggiano e prosciutto crudo».
Nei fatti è molto difficile che si consumino 100 grammi di olio extravergine di oliva al giorno quando 1 cucchiaio, pari a 10 grammi, è la dose consigliata, così come 100 g di Parmigiano reggiano sono tanti anche quando viene consumato come secondo piatto e non come “condimento” sulla pasta: nel primo caso la porzione è 50 grammi, nel secondo 10 grammi. Entrambi contengono grassi saturi, ma il loro contenuto varia se consideriamo la porzione standard: 100 g di olio extravergine di oliva contengono 16,16 g di grassi saturi, mentre 10 grammi ne contengono 1,616. Per il Parmigiano reggiano 100 grammi contengono 16,89 g di grassi saturi, mentre 50 grammi e 10 grammi ne contengono, rispettivamente, 8,445 g e 1,689 g.
Analogamente un’aranciata zuccherata, 100 ml forniscono 10 grammi di zuccheri solubili in acqua. In questo caso 100 ml non corrispondono al bicchiere (200 ml) né alla lattina (330 ml), le dosi abitualmente consumate e che arrivano ad apportare una quota di zuccheri solubili nel caso della lattina del 50% del fabbisogno di zuccheri in una dieta bilanciata da 2mila kcal. «Questi esempi – interviene Andrea Ghiselli, nutrizionista dell’Istituto di ricerca per gli alimenti e la nutrizione – indicano come non si possa prescindere dalla porzione consumata. Ma, oltre tutto, i semafori finiscono con l’appiattire le differenze qualitative degli alimenti».
Con l’avvio dei semafori inglesi «andai a Londra con il dg del ministero della Salute – ricorda Calabrese – per convincere il ministro della Salute e il suo sottosegretario come non si potesse prescindere dalle dosi. Ma non ci fu nulla da fare». Ma se gli inglesi sono sordi perchè i francesi, che hanno una cultura alimentare simile alla nostra e prodotti ipercalorici, sperimentano i semafori? «Loro hanno più brand che qualità – risponde Calabrese – e i loro prodotti sono 4 volte più grassi di quelli italiani. In questo modo, i francesi credono di difendere le loro aziende».
Secondo il nutrizionista (che sperimentò i semafori alla Fiat 30 anni fa) è importante scegliere una dieta bilanciata nell’arco della giornata. E in una dieta bilanciata si potrebbero anche consumare tre cibi con semaforo verde e uno rosso, senza problemi: non si superano i 300 mg di colesterolo al giorno, oltre i quali possono manifestarsi problemi cardiovascolari o di altro tipo.
L’ANALISI. Meglio partire da una corretta educazione sugli stili di vita
Roberto Iotti. C’è indubbiamente del giusto nei programmi sanitari di alcuni Paesi europei che contrastano l’insorgenza delle malattie cardiovascolari, causate da una scorretta alimentazione e soprattutto l’obesità, che sta colpendo migliaia di bambini e adolescenti, anche in Italia patria della dieta mediterranea.
Qualche settimana fa – come sottolineano i presidenti di Federalimentare, Luigi Scordamaglia e di Coldiretti, Roberto Moncalvo – l’Italia è stata collocata ai vertici della classifica “Global health index” dei 163 Paesi al mondo per la popolazione maggiormente in salute. Questo grazie alla dieta mediterranea, di cui non da ieri si parla come di quella che garantisce maggior equilibrio di nutrienti “buoni” per la salute.
Ma allora: se la dieta mediterranea e i tanti prodotti agricoli e agroalimentari che l’Italia, ma non solo, produce sono indicati come corretti per una moderna alimentazione, perchè colpire questo patrimonio con una idea che, di scientifico, ha basi ben poco solide? Pensare di guidare le scelte del consumatore europeo, inducendolo a scegliere un prodotto piuttosto che un altro in base solo al colore di una etichetta nutrizionale può infatti essere forviante. Equiparare, in poche parole, un etto di prosciutto Dop con una lattina di una bevanda gassata ha dell’irrazionale. E questo vale per formaggi, olio di oliva e altre lavorazioni tipiche dei territori italiani.
Meglio sarebbe spostare il tiro verso bersagli ben diversi: cioè quello sociale, quello delle abitudini alimentari, quello dell’educazione. Quello sociale, per riportare in giusto equilibrio il concetto di un’alimentazione sana in un contesto di convivialità. È un dato di fatto che la spesa per i pasti fuori casa è in crescita esponenziale da anni e dai fast food siamo passati al modello “apericena”. Il bersaglio delle abitudiini alimentari: troppi cibi sono usciti dalla dieta per essere sostituiti da una ripetitività di consumo. Frutta e verdure fresche sono in calo a vantaggio di cibi confezionati o ricchi di carboidrati e proteine sopra i livelli della necessità giornaliera. Infine il bersaglio dell’educazione. Solo dagli asili e dalle scuole può partire il messaggio forte, rivolto a adolescenti e giovani, su come e cosa consumare per contrastare da subito l’obesità. Questo non significa mettere al bando quell’alimento o quell’altro, significa invece insegnare l’equilibrio delle cose. Un insieme di messaggi, questi, che dovranno comunque coinvolgere anche le famiglie perchè è in famiglia che nascono e si consolidano le tradizioni e le abitudini del cibo.
Con una guerra dei dazi con gli Usa dietro l’angolo, con il mercato russo chiuso perchè sotto embargo, l’agroalimentare europeo non può permettersi il lusso di tirarsi la zappa sui piedi per una etichetta colorata.
Il Sole 24 Ore – 6 aprile 2017