Nel piano per abbattere le liste d’attesa – il nemico numero uno degli italiani che bussano al Ssn – c’è una piccola rivoluzione, ma anche tante incognite: la più grande di tutte è quella delle coperture. A cominciare dalla misura simbolo contenuta nel mini decreto legge (7 articoli) varato ieri tra più di una polemica dal Governo insieme a un disegno di legge (uno spacchettamento necessario proprio per rinviare il nodo dei fondi): a spiegarla ieri è stata lo stesso ministro della Salute Orazio Schillaci assicurando che per i cittadini «scontenti» di aspettare per farsi curare l’Asl «dovrà garantire» la stessa prestazione dal privato accreditato (teoricamente anche non convenzionato) con tariffe concordate o in intramoenia (la libera professione dei medici nello stesso ospedale), con il cittadino che dovrà pagare solo il ticket (se non è esente). «Se un paziente deve ottenere una risonanza entro 72 ore l’avrà dove è possibile e a pagare sarà il Ssn», conferma Schillaci.
Ma come sarà finanziato questo meccanismo “salta code” che richiama una norma finora disapplicata (legge 124/1998) ma meno vincolante? La bozza del decreto prevede innanzitutto che sarà un provvedimento attuativo con le Regioni a definire modalità e dettagli entro 60 giorni, ma intanto non vengono aggiunte risorse nuove per finanziarlo, attingendo a due commi dell’ultima manovra che prevede di poter usare lo 0,4% del finanziamento del Ssn (oltre 500 milioni) per le liste d’attesa e aumenta di 123 milioni il tetto di acquisti dal privato nel 2024, 370 milioni nel 2025 e quasi 500 milioni dal 2026 (nel Ddl ci sono poi nuovi aumenti). Saranno sufficienti per venire incontro alla domanda insoddisfatta di cure che convince 3 milioni di italiani a non curarsi per colpa di liste d’attesa troppo lunghe? Per la premier Giorgia Meloni sì: «Le regioni non potranno più chiudere le liste di attesa e dovranno organizzarsi per rispettare queste tempistiche», ha spiegato ieri. «I cittadini pagheranno solo il ticket e la differenza in termine di costo che dovranno sostenere le Regioni sarà coperta dalle risorse che lo Stato ha stanziato in legge di bilancio proprio per l’abbattimento delle liste di attesa», che ammontano, ha ricordato Meloni, a «oltre 500 milioni». Parole sulle quali insorgono le opposizioni che parlano (come la segreteria Pd Elly Schlein) di «norma fuffa a quattro giorni dal voto» e di «scaricabarile» sulle Regioni oltre che su manager Asl e medici. Critici anche parte dei governatori che denunciano «l’intervento di facciata senza risorse».
In realtà il decreto stanzia risorse fresche – quasi 250 milioni- per defiscalizzare gli straordinari di medici e infermieri con una flat tax al 15% e incentivarli così a lavorare di più per le liste d’attesa, anche perché il Dl prevede la possibilità di fare visite ed esami anche sabato e domenica con orario prolungato.
Nasce poi un Cup unico regionale o infraregionale con tutte le prestazioni disponibili del pubblico e dei privati convenzionati. Scatta il divieto di sospendere o chiudere le agende delle prenotazioni, mentre un sistema di “recall” eviterà il fenomeno delle prestazioni prenotate e non effettuate perché il paziente non si presenta (chi da “buca” pagherà lo stesso il ticket). In ogni ospedale le ore di intramoenia non dovranno superare l’attività ordinaria. Sale la spesa per assumere: il 15% dell’incremento del Fondo sanitario rispetto all’anno precedente, mentre il tetto di spesa dal 2025 viene abolito: al suo posto il fabbisogno standard di personale. Il decreto prevede anche un piano d’azione da 600 milioni (a valere sui fondi di coesione) per rafforzare i servizi sanitari nelle 7 regioni del Sud destinatarie del Programma Equità nella Salute 2021-2027.
Il Sole 24 Ore