Paolo Russo. Ben due famiglie su cinque che rinunciano a curarsi per colpa delle liste d’attesa e dei costi proibitivi del privato, mentre chi può paga oramai di tasca propria oltre 500 euro l’anno per visite, analisi e ricoveri. Il 18% della spesa sanitaria totale. Eccola l’altra faccia dei tagli e degli sprechi in sanità, fotografata dal «Bilancio di sostenibilità del welfare italiano», stilato dal Censis e dalle associazioni dei consumatori per l’Ania, l’associazione degli assicuratori, interessati a giocare la loro partita sulla sanità.
Avremo anche il sistema più universalistico del mondo, ma ogni nuovo studio sull’accesso alle prestazioni sanitarie dimostra che quella del «tutto gratis a tutti» è oramai una formula sempre più lontana dalla realtà.
I dati parlano chiaro. Il 51,7% delle famiglie italiane ha rinunciato a curarsi e chi ha pagato lo ha fatto nel 32,6% dei casi in nero. Percentuale che al Sud sale al 41%. E se si spendono oramai in media 500 euro a testa per aggirare le liste d’attesa nel privato per gli anziani va ancora peggio. Con una popolazione sempre più di nonni, 3 milioni dei quali non autosufficienti, l’assistenza domiciliare, soprattutto dal Lazio in giù, è un optional per il nostro servizio sanitario pubblico. Ed ecco che a fare da salvagente arriva l’esercito delle badanti: un milione e trecentomila, che pesano sulle famiglie per altri 10 miliardi e vanno ad aggiungersi ai 33 miliardi di spesa sanitaria privata che gli italiani sborseranno a fine anno. Rispetto al 2014 un miliardo in più. Appunto il 18% della spesa sanitaria complessiva. Un record europeo, visto che in Francia non si va oltre il 7% e in Inghilterra al 9%.
Di questa emorragia di denaro le principali responsabili restano le liste d’attesa. Che non di rado asl e ospedali «chiudono» per far quadrare i bilanci erogando meno prestazioni. Ecco allora che, sempre secondo il Censis, nell’ultimo anno per una risonanza al ginocchio si è passati da un’attesa media di 45 a una di 60 giorni, da 58 a 71 per un’ecografia all’addome, da 69 a 79 per una colonscopia. «Da tempo denunciamo il fenomeno dell’allungamento dei tempi d’attesa che non può essere certo governato – rimarca Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale dei diritto del malato- con il decreto sul taglio delle cosiddette prestazioni inappropriate, che finirà per far riversare ancora più soldi nel privato». «Serve invece un nuova Piano nazionale sulle liste d’attesa, visto che quello che c’è è scaduto nel 2012», denuncia.
«Il welfare sta cambiando, ma il cambio sarà problematico se non ci saranno le riforme», prevede il presidente del Censis, Giuseppe De Rita.
Per ora all’orizzonte ci sono solo tagli. Ai 2,3 miliardi di quest’anno se ne aggiungono i 2 che la legge di stabilità ha depennato dal Fondo sanitario nazionale, fermo a 111 miliardi contro i 113 previsti. E tra le pieghe della manovra sembra spuntare anche qualche nuova brutta sorpresa. Secondo la Cgil medici l’articolo 46 della legge di stabilità conterrebbe un altro taglio di 1,8 miliardi nel 2016 a carico delle regioni, e quindi in larga parte della sanità, che rappresenta l’80% dei bilanci regionali. Domani conferenza delle regioni sulla manovra. Si prevedono scintille tra governo e governatori. Anche quelli di parte «amica».
La Stampa – 21 ottobre 2015