Il Fatto quotidiano. Un sistema unico regionale per la prenotazione delle prestazioni sanitarie, che garantisca tempi di attesa adeguati ai cittadini. La creazione di una Carta dei diritti, per garantire l’erogazione di quei servizi che rientrano nei Livelli essenziali di assistenza, fissando dei tempi massimi da rispettare. L’attivazione di un servizio di “recall”, per ricordare ai pazienti il loro appuntamento, e l’introduzione di sanzioni più severe per chi non si presenta alle visite. Un ulteriore stanziamento di risorse pubbliche da destinare alle strutture private accreditate, attraverso il ritocco, verso l’alto, dei limiti di spesa previsti dalla legge di bilancio. Ma anche nuove misure per combattere la carenza di personale sanitario e aumentare la trasparenza delle aziende.
Il decreto legge anti liste d’attesa, che verrà presentato al Consiglio dei ministri il prossimo 3 giugno, nella fase più calda della campagna elettorale, si preannuncia come un testo molto corposo. Quasi una mini riforma del Servizio sanitario nazionale, per dimostrare agli elettori come il Governo si stia muovendo con decisione sulla Sanità, una delle principali priorità per la popolazione. L’obiettivo del ministro della Salute, Orazio Schillaci, è quello di ridurre i lunghissimi tempi d’attesa con cui è costretto a confrontarsi chiunque voglia effettuare una visita o un esame diagnostico passando per il Ssn. Ma, per i sindacati, la lunga serie di provvedimenti che costituiscono la bozza del provvedimento evidenzia delle falle. Su tutte, una domanda: da dove si prenderanno tutti i soldi che servono?
È il dubbio principale di Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao-Assomed: “Se si tratterà di stanziamenti extra, allora tutte queste norme acquisiranno un senso. Altrimenti vuol dire che, senza fondi ulteriori, i soldi dovranno essere prelevati dal Fondo sanitario nazionale, che già piange in termini economici”, dichiara il sindacalista a ilfattoquotidiano.it. “Le liste d’attesa – prosegue – sono l’effetto di problemi più grandi, che non possono essere risolti da un giorno all’altro. Interventi come questi possono calmierare, ma sono solo pezze. Per risolvere i problemi alla radice, bisogna investire risorse economiche sul personale e sull’organizzazione sanitaria”.
Per Di Silverio, la manovra presenta comunque alcuni aspetti positivi. Su tutti, il superamento del tetto del personale, previsto per il 2025, che dovrebbe permettere nuove assunzioni da parte delle aziende. “Ci aspettiamo un intervento importante nella prossima Finanziaria – spiega il segretario -. Sapevamo che questo decreto, realizzato velocemente, non poteva che essere un cerottino. Ma apprezziamo che ci si sia mossi nella direzione di rendere di nuovo appetibile la professione”, commenta. Il riferimento è all’articolo 12 del decreto che prevede una defiscalizzazione dei compensi erogati per le prestazioni aggiuntive. “Speriamo che segua a stretto giro un intervento analogo anche sul lavoro ordinario, sulla parte fissa dello stipendio. È il modo più veloce per rendere maggiormente appetibile la professione. E si interromperebbe quella narrazione per cui i medici sono costretti a lavorare sempre di più”. In ogni caso, conclude di Silverio, c’è molta attenzione su come potrà essere modificata la bozza del decreto nei prossimi giorni: “Siamo sul filo del rasoio. Se toccano una sola di queste poche norme, di queste piccole risposte che ci sono arrivate, il decreto per noi diventa negativo”.
Parere sfavorevole che, invece, è già pronta a dare Barbara Francavilla, segretaria nazionale Fp Cgil. Per la sindacalista, la misura del Governo Meloni “ha poco a che fare con le liste d’attesa”. Si tratta invece di “un ulteriore passo verso la privatizzazione della sanità in Italia”. Il piano di Schillaci prevede molti interventi sulle strutture private accreditate. L’idea è quella di coinvolgerle di più, per aumentare il numero di visite ed esami effettuabili. Per farlo, queste strutture dovranno passare sotto la gestione dei Cup regionali (i Centri unici di prenotazione), pena la perdita dell’accreditamento. In questo modo tutte le strutture, pubbliche e accreditate, verranno controllate da un unico sistema di prenotazione. Oltre a questo, la bozza prevede che, rispetto a quanto previsto dalla legge di bilancio, i limiti di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati vengano ritoccati verso l’alto. Le percentuali di spesa aumenteranno da +1% a +2% per il 2024, da +3% a +4% per il 2025, da +4% a +5% dal 2026. Non sono soggette ad alcun limite, invece, le prestazioni salvavita che vengono effettuate dai pronto soccorso delle strutture ospedaliere private accreditate.
“L’unica cosa che ci convince nei confronti del privato accreditato è che ci sarà un Cup unico che comprenderà sia il pubblico che il privato – commenta Francavilla -. Ma secondo noi l’approccio deve essere diverso, deve tutelare cittadini e lavoratori. Se ci si avvale del privato, a quel privato vanno applicate regole certe e vincolanti. Devono essere effettuati controlli affinché non si faccia scempio dei lavoratori che erogano i servizi, garantendo la qualità delle prestazioni”. E in riferimento all’articolo 10, che definisce l’ampliamento delle fasce orarie lavorative, anche il sabato e la domenica, per permettere di svolgere più visite, la sindacalista sottolinea come queste cose avvengano già nelle strutture italiane: “Negarlo vuol dire non sapere cosa succede negli ospedali e come sono organizzati. La vera soluzione sarebbe quella di assumere. Non si può pensare di obbligare il personale ad andare oltre il proprio orario di lavoro, superando i vincoli previsti dalla normativa per i tempi di riposo. Non è dignitoso per gli operatori e non è sicuro per i cittadini”.
Ma per Fp Cgil, come per Anaao-Assomed, i dubbi principali riguardano la copertura finanziaria del provvedimento. “Alcune previsioni non hanno stanziamenti aggiuntivi rispetto a quelli già presenti nel Fondo sanitario nazionale, quindi si può intuire che verrà imposto alle Regioni di utilizzare le risorse già ripartite. E poi dovranno solo decidere cosa tagliare. Ancora una volta la toppa è peggio del buco”, conclude Francavilla.