La Stampa. A più di un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha censurato la prassi in vigore dal 2011 di pagare con anni di ritardo il Tfs (trattamento di fine servizio) ed il Tfr (il trattamento di fine rapporto) dei dipendenti pubblici il governo non ha ancora rimediato al problema. Non solo, ma da fine aprile l’Inps, a causa dell’esaurimento dei fondi a disposizione, ha pure disposto il blocco delle domande di anticipazione ordinaria delle cifre maturate nel corso degli anni in favore degli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, misura che mettendo comunque a carico dei dipendenti una commissione per quanto agevolata (1% più lo 0,50% di spese di amministrazione) consentiva di farsi anticipare in tutto o in parte il dovuto. Per questa ragione oggi sei sigle sindacali hanno deciso di lanciare una petizione per sollecitare un intervento urgente del legislatore. «Basta con il sequestro illegittimo delle liquidazioni dei dipendenti pubblici (Tfs – Tfr)» protestano Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Codirp lanciando la mobilitazione ed invitando tutti i dipendenti della Pa a sottoscrivere il loro appello.
«Da più di 10 anni- è scritto nella petizione – la liquidazione di Tfr e Tfs dei dipendenti pubblici nonostante i ripetuti richiami della Corte Costituzionale è ingiustamente erogata con modalità differita e rateale con un ritardo che può arrivare anche fino a sette anni. In tal modo i dipendenti pubblici sono discriminati rispetto ai dipendenti privati». Quindi viene ricordato che «più volte la Corte Costituzionale ha sollecitato il legislatore a porre rimedio a questa ingiustizia sociale» e che «il sequestro della liquidazione è particolarmente intollerabile per quanti hanno raggiunto la pensione di vecchiaia o il limite ordinamentale per la permanenza al lavoro, specialmente in un periodo di alta inflazione che erode in maniera importante la sua consistenza, aggiungendo danno al danno». Le sei sigle sindacali ricordano infine che «numerosi disegni di legge presentati in questi anni da tutte le forze politiche non hanno avuto esito» e per questo ora «è giunto il momento di porre fine a questo sequestro per i dipendenti pubblici per restituire il maltolto, per un minimo di civiltà giuridica ed equità».
In base alle regole attuali, infatti, prima di incassare il Tfs il dipendente pubblico deve attendere due anni – senza rivalutazioni e senza interessi, si badi bene – che salgono a 7 nel caso si esca con un anticipo di 5 anni, ad esempio avendo utilizzato in passato Quota 100, perché la norma prevede che il pagamento avvenga solo dopo che l’interessato ha raggiunto il requisito pieno dell’età pensionabile, ovvero i 67 anni.
Era stato il governo Monti, dopo la crisi dello spread del 2011, ad autorizzare il pagamento differito del Tfs-Tfr ai dipendenti pubblici per dare respiro alle finanze dello Stato. Ma già nel 2019 una sentenza della Suprema Corte aveva stabilito che fosse sacrificabile il diritto del lavoratore pubblico alla liquidazione solo nei casi di cessazione anticipata dal lavoro. Anche il Tar del Lazio, esattamente un anno fa, aveva sollevato la questione di legittimità delle norme che attualmente dilazionano il pagamento del trattamento di fine servizio dei pubblici dipendenti rispetto alla tempistica prevista per il privato, che invece percepisce il trattamento di fine rapporto già al momento del collocamento in pensione.
Secondo i sindacati, che ora tornano all’attacco, il differimento di questi pagamenti si configura come una vera e propria «appropriazione indebita». Per il governo è invece una bella gatta da pelare che si aggiunge alle altre, tanto più in questa fase con l’Italia sotto procedura di infrazione da parte della Ue per deficit eccessivo.
Solo il prossimo anno si prevede infatti che vadano in pensione circa 150 mila dipendenti pubblici e calcolando una media di 70 mila euro ciascuno di buonuscita si arriva ad una spesa di ben 10,5 miliardi di euro tutt’altro che facile da gestire visto che vale quasi come una mezza manovra.