La Stampa. «È una strage, quando entrano in una gabbia fanno razzia». Nello Totogiancaspro sembra quasi rassegnato, questo è il periodo peggiore. È proprio durante l’inverno che i cormorani, in cerca di temperature più miti, raggiungono l’Italia. E lui assiste impotente alla moria di spigole nel suo allevamento. Perché questi uccelli acquatici si cibano di pesce. «Non siamo certo una multinazionale: se questi predatori ci dimezzano la produzione di una vasca per noi significa perdere tutto il guadagno». Come lui, tanti altri colleghi.
A lanciare l’allarme è Coldiretti Puglia che parla di invasione nella regione: «Più che triplicati a causa della tropicalizzazione del clima, con ripercussioni economiche gravi per i pescatori e per gli allevamenti in mare». Già l’anno scorso, c’era stata una denuncia analoga. Ma per il comparto ittico, in casi come questo, non ci sono indennizzi. Le assicurazioni sugli stock ittici coprono calamità come mareggiate o alluvioni, ma non questo tipo di danni.
Nello allora prova a fare qualche calcolo. La cooperativa «Maricoltura San Vito» che ha fondato a Taranto, insieme ad altri soci, ha una concessione di 90mila metri quadrati. «Significa che abbiamo 13 vasche per l’acquacoltura, dove alleviamo spigole e orate. In ognuna abbiamo una semina di circa 40mila pesci. In qualche caso è capitato persino di vederli dimezzati proprio a causa dei cormorani. Non voglio sembrare anti-ambientalista, ma per noi stanno diventando un serio problema». Perdere la metà della produzione significa veder svanire tutto il guadagno.
Racconta che in una di queste vasche ha perso oltre il 50% del prodotto allevato. Un danno di 30mila euro. «Quando ti prendono di mira, te li trovi qui tutti i giorni». Sono uccelli acquatici, con loro anche le gabbie messe a copertura delle vasche non sono un deterrente efficace. «Meno male che nella nostra zona la loro presenza è solo nei mesi invernali e poi ritornano nei Paesi d’origine». E così Nello, da dicembre alla primavera stringe i denti. E aspetta che vadano via. Ma in questi giorni, è costretto a conviverci. Impotente, li osserva entrare nelle gabbie e andare sott’acqua con facilità. «Riescono ad entrare nonostante le reti: prima la testa, poi un’ala. A volte mangiano così tanti pesci che poi hanno difficoltà a riprendere il volo e uscire. Sinceramente mi dispiace anche, ma qualcuno dovrebbe pensare a noi». Si cibano dei pesci che non hanno ancora raggiunto grandi dimensioni: «Sulle spigole è una rovina, non so più come fare». L’altro giorno, in una sola gabbia, ne ha trovati una ventina: «Lavorano in gruppo. Se ognuno di questi mangia una media di 5 pesci al giorno, il conto del danno è presto fatto. Siamo una piccola cooperativa: in ognuna di queste gabbie per arrivare alla vendita del prodotto ci vuole oltre un anno. E quando penso finalmente di poter raccogliere i frutti del mio lavoro, arrivano loro e io non pago nemmeno le spese che ho sostenuto». Non solo spigole che diventano il loro cibo, ma anche esemplari che trova ormai morti: «Spesso non riescono neanche a deglutire: ingoiano il pesce e lo buttano fuori, ma ormai l’hanno ucciso. Adesso sono arrivati da un mesetto e ne siamo pieni».
A raccogliere le denunce dei pescatori è Coldiretti Puglia. Segnalazioni di una presenza sempre più massiccia arrivano dalla provincia di Bari, dalla costa di Taranto e di Gallipoli, dalla laguna di Varano, dalla diga di Capaccio del Celone a Lucera e dalla palude del lago Salso a Manfredonia. «Il clima anomalo fa proliferare la fauna selvatica e nella regione i cormorani, da migratori, sono diventati stanziali con danni alla pesca negli allevamenti, in mare ed in laguna». Pietro Spagnoletti è il responsabile di Impresa Pesca dell’associazione di categoria: «Dal Gargano a Taranto, ci sono moltissimi allevamenti acquicoli. Purtroppo stimiamo perdite considerevoli: tra cormorani e pesci-serra, parliamo di una perdita di almeno il 20% per ogni gabbia. Da circa 3 anni riceviamo ripetute denunce da parte di allevatori e imprese. Probabilmente è un problema generalizzato anche nel resto d’Italia, ma per la Puglia riveste grande importanza». Da qui la richiesta di migliorare le barriere fisiche e ottenere finanziamenti per l’acquisto. Le reti in plastica, nylon e poliestere non sembrano funzionare. «Riteniamo necessario un maggiore controllo, come quello che si prevede sui cinghiali – dice Spagnoletti – dunque mirato, controllato e con un coordinamento scientifico. Sia inteso: non è che ci mettiamo a sparare ai cormorani, ma troviamo soluzioni efficaci a tutela del comparto».
Michela Cariglia, 46 anni, è direttore del consorzio Gargano Pesca di Manfredonia, nel Foggiano. Assieme al fratello Alessandro e alla sorella Francesca, da 25 anni segue l’impianto di acquacoltura. Hanno 100 gabbie e il loro business è l’allevamento di spigole e orate con una produzione annua di 1800 tonnellate. A causa dei cormorani, la produzione ha un segno meno del 25% con «un danno medio l’anno di 950mila euro». Al contrario di altri allevamenti, non usano dissuasori contro questi animali, ma hanno incrementato le reti di protezione. «Anziché una, ne sistemiamo due. È un piccolo rimedio che non risolve il problema perché i cormorani stanno dimostrando una voracità pazzesca. In primavera diminuiscono leggermente, ma ormai sono stanziali. È un’ecatombe». Spiega che il cambiamento delle temperature sta influenzando anche la presenza di tonni e altre specie. «Ogni 5 orate, tiriamo su un pesce-serra. In poco meno di un decennio è cambiato tutto: il 2014 è come se fosse stato l’anno zero di una nuova era climatica». —
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