Marcegaglia: «Con i sindacati tracciata una strada per la crescita. Ora sgravi stabili per i neo assunti»
MILANO – È vero, anche con la Cgil «il dialogo è sempre andato avanti». È altrettanto vero, però, che poi «ognuno restava sulle proprie posizioni». Inconciliabili. Da anni. Adesso che l’accordo unitario su contratti e rappresentanza c’è, e raggiunto in poche ore, Emma Marcegaglia lo riassume così: «Ci siamo detti, tutti: il Paese è in grossa difficoltà, cerchiamo di dare per primi un segnale». Naturalmente non è stato così semplice. La presidente di Confindustria ha probabilmente sciolto il gelo che a un certo punto è calato tra l’associazione e la Fiat, grande acceleratore della rivoluzione nei rapporti sindacali. Ma conosce benissimo i tormenti che ancora ci saranno e ancora avrà l’altra signora delle relazioni industriali italiane: Susanna Camusso la «spina Fiom» ce l’ha sempre lì. Affrontarla richiedeva coraggio. C’è stato. Da ogni parte in causa.
Anni di conflittualità, con il primo sindacato italiano. Mesi e mesi di scontro anche dopo l’arrivo di Camusso alla segreteria. Poi bastano due incontri e l’accordo si materializza. Presidente Marcegaglia: chi ha usato la bacchetta magica?
«La gravità del momento. L’Italia vive una fase di enormi problemi e la situazione internazionale certo non aiuta. Con i leader sindacali ci siamo detti: okay, troviamo un modo di assumerci le responsabilità, di far fare un passo avanti al Paese, di dare un segnale anche alla politica. Incontriamoci sui punti che abbiamo in comune».
I contratti aziendali non sembravano nell’elenco, almeno non in quello della Cgil.
«Diciamo che c’erano alcune parole tabù. “Deroga”, per esempio. Tolta quella, e sostituita con “adattabilità” dei contratti nazionali, si è potuto cominciare a lavorare».
Solo una questione lessicale?
«Ovviamente no. Quando diciamo, insieme ai sindacati, che il problema vero è far fare un passo avanti al Paese e che questo accordo lo consente, parliamo di produttività, di competitività, di crescita. Per raggiungere questi obiettivi, rispetto alle intese che già avevamo firmato nel 2009 mancava la Cgil e mancavano due punti: l’esigibilità dei contratti, nel senso che se la maggioranza del sindacato vota un accordo poi tutti lo devono rispettare, e la tregua sindacale. Se firmi un’intesa, poi non è che puoi scioperarci contro. Questo chiedevano tutte le imprese italiane».
Ora avete la Cgil, della partita. E avete i due punti mancanti. Ma c’è chi dice: la Fiom continuerà con il suo antagonismo, l’intesa confederale non vincola le categorie.
«Le vincola, eccome. Non impegna solo chi non firma, vedi i Cobas. Ma la Cgil ha firmato e la Fiom fa parte della Cgil, dunque… Detto questo, è vero che un intervento legislativo potrebbe essere utile. Noi però preferiamo l’accordo tra le parti e, intanto, ciascuna organizzazione riunirà i propri direttivi per ratificare l’intesa. Dopodiché ci ritroveremo di nuovo, ragioneremo tra noi, valuteremo cosa sarà più opportuno fare».
Per «blindare» l’esigibilità dei contratti, appunto, e la governabilità delle aziende?
«Se vogliamo fermarci ai termini sindacali, sì. Tradotto, però, significa maggiore produttività e maggiore crescita. Se le aziende possono adattare, con la flessibilità necessaria ai diversi momenti e ai diversi mercati, gli orari, le mansioni, l’organizzazione del lavoro, è evidente che la produttività migliora».
Ma, attaccano i metalmeccanici della Cgil, «spremendo» i lavoratori e i loro diritti.
«Anche qui: non è così. Primo: i contratti nazionali, importanti soprattutto per le piccole imprese, non spariscono, anzi. E ora che con noi, la Cisl e la Uil c’è la Cgil credo che anche le categorie potranno avere positive ricadute di modernizzazione. Secondo, e più importante: maggiore produttività, maggior salario. È un impegno delle imprese, direttamente e con una richiesta che insieme al sindacato facciamo al governo: rendere strutturale, per i dipendenti, la detassazione al 10% del salario legato alla produttività».
Da tutta la politica, frange estreme escluse, Confindustria e sindacati hanno ottenuto soltanto applausi: per il senso di responsabilità e perché la svolta è vera. Ma se sull’ingessato mondo delle relazioni industriali non si fosse abbattuto il ciclone Sergio Marchionne, dirompente e spesso criticato, ci sareste arrivati?
«Il primo vero passo di modernizzazione delle relazioni sindacali lo abbiamo fatto noi, la Cisl e la Uil, con l’accordo interconfederale del gennaio 2009: i concetti dell’adattabilità e dell’esigibilità dei contratti sono stati introdotti lì. E questo non va dimenticato. Marchionne, poi, ha sollevato con vigore il problema che ogni imprenditore vive: la crudezza della globalizzazione impone cambiamenti veloci e profondi in tutti gli ambiti. Non c’è dubbio sul ruolo che Sergio ha avuto. Ora, con questo accordo, si conclude il periodo degli strappi, che alla lunga fanno male al Paese. E si apre un’ulteriore stagione di innovazione che porteremo avanti tutti insieme».
A Torino i primi commenti ufficiosi riconoscono l’importanza dell’accordo. Ma c’è ancora qualche dubbio sul fatto che possa effettivamente salvaguardare le intese già firmate a Pomigliano, Mirafiori, Grugliasco. E le dichiarazioni di Susanna Camusso, ieri, sembrano avvalorare la tesi. «Parleremo con la Fiat», ha detto lei appena firmato. L’ha fatto?
«Contatti in corso, sì».
Martedì, prima ancora che arrivasse l’annuncio della firma, a voi e ai sindacati è arrivato il «grazie» di Giulio Tremonti. Lei come lo ricambia? Oggi è il giorno della manovra: quanto è in linea con le aspettative di Confindustria?
«Mancano ancora dei pezzi, attendo di vedere il quadro definitivo. Sulla crescita mi aspetto ci sia la delega fiscale. E mi aspetto un taglio dei costi della politica, perché non puoi chiedere sacrifici al Paese e poi mantenere la casta. Ma le linee generali ipotizzate fin qui su spesa pubblica, pensioni, sanità, pubblico impiego, Irpef, Irap mi sembrano positive. L’importante è che la manovra non venga scarnificata in queste ultime ore».
La convince anche l’entità? Il clou degli interventi cadrà sulla prossima legislatura, per quest’anno e il prossimo ci fermiamo a poco più di sette miliardi sui 47 totali: e lei stessa aveva chiesto misure più incisive subito.
«È vero, ma in realtà i numeri sono in linea con le richieste dell’Europa. Va riconosciuto che Tremonti sta facendo una manovra impegnativa. Quanto al suo “grazie” dell’altra sera, era legato al fatto che questa intesa, finalmente unitaria, avrà un impatto positivo sul livello di produttività e competitività del Paese e quindi potrà migliorarne il livello di crescita. Ma devo dire che tutti abbiamo sentito molto vicino anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti, c’è stata una strada condivisa. Ed è un segnale importante, in un momento così difficile per il Paese».
Corriamo il rischio Grecia?
«Siamo molto diversi. Però quando i mercati e la speculazione ti prendono di mira… È per questo che abbiamo insistito per la manovra subito».
Raffaella Polato – corriere.it – 30 giugno 2011