C’è una buona percentuale di orgoglio italiano nelle parole di questo manager francese di 47 anni, da sei alla guida di Lactalis Italia, filiale del gruppo multinazionale francese che controlla i marchi Galbani, Locatelli, Vallelata, Cademartori e Invernizzi. Jean-Marc Bernier, guida il principale gruppo lattiero caseario che opera in Italia finito, nelle settimane scorse, nel mirino degli allevatori e delle loro organizzazioni di rappresentanza perché accusato di “pagare poco” il latte; di “importare a prezzi tedeschi” (bassi) e rivendere a prezzi italiani (alti); di usare “latte straniero” per produrre mozzarelle italiane.
Giovedì, con il contributo del ministero delle Politiche agricole, è stato raggiunto un accordo dal sapore di una tregua tra allevatori e gruppo Lactalis: accordo in base al quale per i prossimi tre mesi sarà riconosciuto agli allevatori un prezzo di riferimento del latte pari a 37 centesimi il litro.
Tre mesi che dovrebbero permettere a tutta la filiera italiana del latte di mettere a punto una serie di interventi strutturali per recuperare quella competitività che oggi manca, se confrontata con quanto accade in Europa e nel resto del mondo. Jean-Marc Bernier spiega con la forza dei numeri quello che, a primo avviso, può sembrare un accordo lontano dalla logica del mercato: pagare di più per una materia prima che nel resto d’Europa costa meno. Ma un manager che si rispetti sa anche che non sempre la logica dell’economia è alla base di tutto. «Siamo rimasti amareggiati – dice Bernier – di come gli allevatori hanno parlato di noi. Di vederci descritti come dei succhia sangue senza scrupoli, quando è vero tutto il contrario».
Ed ecco i primi numeri: Lactalis Italia opera con cinque impianti e più di tremila dipendenti, ha un indotto di tremila fornitori e 650 allevatori conferitori. Ogni anno investe in Italia più di 50 milioni (25 negli impianti per migliorare i processi, 30 nel marketing); a Corteolona, nel Pavese, opera la più grande fabbrica del gruppo nel mondo e c’è il più importante centro mondiale di ricerca sulle paste filate e sulla mozzarella. A breve sarà ultimato l’investimento per potenziare il centro logistico di Ospitaletto, polo nevralgico per l’export dei prodotti Galbani e non solo. E poi investimenti in formazione, innovazione, sviluppo.
«Abbiamo da sempre puntato allo sviluppo e alla crescita in Italia, così come lo facciamo in tutti i Paesi dove siamo presenti. Ma in Italia in modo particolare. Con la stragrande maggioranza dei nostri conferenti abbiamo rapporti consolidati e storici, abbiamo sempre rispettato i contratti firmati con le organizzazioni degli allevatori. Già da settembre avevamo deciso di non ridurre il prezzo di riferimento del latte, pur sapendo che con le tendenze generali il mercato sarebbe arrivato a 33 centesimi il litro a novembre e 32,8 a dicembre. In Europa stimiamo che a inizio anno il prezzo sarà di 28 centesimi. Per questo ci hanno colpito le espressioni verbali violente e le accuse contro di noi, che non hanno fondamento».
La prima: importare latte e derivati da altri Paesi Europei. L’amministratore delegato di Lactalis spiega che per far fronte alla domanda di lavorazione dell’industria, l’Italia dovrebbe raddoppiare la produzione di latte. «Anche in questi periodi di crisi – dice Bernier – non abbiamo mai posto limiti al ritiro di latte in Italia. Da tre anni la quantità di latte conferito è cresciuta del 15%, in particolare nell’ultimo anno. E lo abbiamo fatto proprio per rispondere a una domanda di aiuto degli allevatori. Ma l’industria ha i suoi cicli e i suoi picchi: in estate, per affrontare la domanda di mercato di mozzarella, dobbiamo importare latte».
Dominatori di mercato? «No – spiega ancora Bernier – perché nei formaggi (Lactalis ha una quota minima nei Dop) abbiamo una quota del 14% in volume e del 12% in valore. Lavoriamo il 6% del latte nazionale, rispetto al 60-70% delle cooperative. Quindi non è vero che facciamo il bello e il cattivo tempo sul mercato del latte».
Spacciatori di made in Italy? «Indipendentemente dalla materia prima, tutte le nostre produzioni sono realizzate in Italia. Anche altri grandi e importanti marchi dell’alimentare acquistano materie prime all’estero per trasformarle poi in Italia, eppure nessuno muove accuse nei loro confronti».
Latte sottopagato? «È innegabile che produrre un litro di latte in Italia costi di più rispetto ad altri Paesi europei. Ma è altrettanto innegabile che in Italia il latte è il più pagato. Il prezzo di riferimento è quello tedesco perché la Germania è la principale esportatrice in Italia ed è il Paese che fa mercato in Europa. Noi storicamente aggiungiamo un bonus del 15-20% al prezzo tedesco per valorizzare il latte italiano. Nei prossimi tre mesi, con l’accordo appena raggiunto, si potrebbe arrivare a pagare quasi il 35% in più circa rispetto al prezzo europeo. Una boccata di ossigeno, certo, ma non la soluzione del problema. Per questo – spiega Bernier – è necessario che il settore lattiero caseario italiano cambi direzione e avvii una serie di riforme strutturali per essere competitivo. Gli altri Paesi concorrenti e produttori non stanno fermi. Rischiamo di trovarci marginalizzati lentamente a livello internazionale. La domanda quindi è: come vogliamo gestire il futuro? Non possiamo continuare ad allargare il gap tra latte italiano e latte europeo. Dobbiamo invece ripensare alle strategie dell’export, perché il potenziale c’è nonostante l’Europa sia ormai un mercato maturo. Nonostante gli attacchi al nostro gruppo, gli sforzi li abbiamo fatti. Ora però ci poniamo davanti a una serie di domande sul nostro futuro business in Italia. È una riflesione, un ragionamento industriale su basi economiche».
Roberto Iotti – Il Sole 24 Ore – 28 novembre 2015