Dal Corriere della Sera. Il futuro Abbiamo investito sulle rinnovabili. Ora però è necessario un piano strategico del Paese . «L’accordo di Parigi sul clima scaturisce dal negoziato fra 195 Paesi. Se fosse dipeso soltanto dall’Italia e dall’Europa, sarebbe stato ben più ambizioso. Comunque, si è imboccata una strada: a velocità media, ma senza ritorno». Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti è appena rientrato in Italia dopo la conclusione del Cop21. E su quella conferenza, mentre la politica canta vittoria, la scienza ha molto da criticare. A partire dal fatto che il taglio delle emissioni è volontario.
«Non è volontario. Entrerà in vigore una volta che sarà ratificato da 55 nazioni che rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali».
Il che potrebbe avvenire anche dopo il 2020.
«Ma anche prima».
Come far rispettare l’accordo senza sanzioni?
«Non sono previste perché è nato sotto il cappello Onu. Però ormai c’è un “prima di Parigi” e un “dopo Parigi”: per i Paesi firmatari sarà difficile tornare indietro e non adempiere agli impegni. È un percorso intrapreso tutti insieme che durerà 85 anni; un po’ lungo, sì…».
Barack Obama ha dichiarato che questo accordo «è un tributo alla leadership americana».
«Penso, invece, che dentro ci sia moltissima Europa. Per esempio, l’Italia a suo tempo ha sottoscritto il protocollo di Kyoto e l’ha mantenuto: emissioni ridotte del 20%, 43% dell’elettricità derivante da energie rinnovabili».
Eppure in Italia è stato avviato un nuovo programma di estrazioni in mare e su terra.
«Uno dei temi cardine posti dai Paesi in via di sviluppo è lo sfruttamento equo delle risorse naturali. Noi viviamo in una nazione che utilizza ancora petrolio e gas, e non trovo giusto utilizzare le energie degli altri. Ma poi, nel tempo, l’accordo di Parigi renderà non più conveniente fare queste estrazioni».
Fra le critiche all’accordo, c’è il fatto che le grandi industrie non erano al tavolo per firmare impegni; che non c’è una data certa per la fine dell’utilizzo delle energie fossili; che aviazione civile e trasporti marittimi — produttori di circa il 10% delle emissioni — sono esclusi dall’intesa.
«I Paesi partecipanti hanno elaborato un grande piano strategico per l’ambiente. Le imprese non potranno che seguire le indicazioni, la volontà dei governi e dei cittadini».
Quale sarà l’azione immediata dell’Italia nello spirito dell’accordo?
«Si dovranno incentivare le imprese che producono meno rifiuti; bisognerà incrementare i trasporti pubblici rinnovando il parco mezzi, in modo da privilegiare carburante elettrico e biometano; limitare le emissioni da riscaldamento proseguendo con l’ecobonus. Puntiamo sulle energie rinnovabili in modo più determinante di quanto fatto finora».
Il suo ministero che cosa farà subito?
«In questi anni abbiamo investito moltissimo per le agevolazioni alle economie rinnovabili. Adesso serve un piano strategico del Paese. Il ministero dell’Ambiente non può agire da solo, serve il coinvolgimento di tutti».
Gli scienziati non credono che l’aumento di temperatura potrà essere contenuto sotto il 2°C. Inoltre denunciano la mancanze di tempi certi per l’eliminazione di ciò che causa l’effetto serra, e l’assenza di un piano di controlli rigorosi.
«Io sono partito dall’Italia con l’obiettivo di riuscire a inserire nell’accordo un riferimento agli 1,5 gradi come tetto per contenere l’innalzamento del riscaldamento globale: perché già a 2 gradi alcune piccole isole sarebbero destinate a sparire. Perciò adesso, se riusciremo a far rispettare i termini dell’accordo — così come è nostro dovere etico-morale — salveremo tutti».
14 dicembre 2015