Paolo Russo, La Stampa
Filippo Anelli, Presidente dell’Ordine dei medici, ci tiene a dire la sua sul risiko dei medici contesi in Europa fotografato ieri da La Stampa. Dopo l’incendio di Tivoli è però obbligatorio chiedergli: ma che Paese è questo che fa andare a fuoco i suoi ospedali?
«I dati di qualche tempo fa della Commissione parlamentare d’inchiesta sul nostro sistema sanitario e quelli della Protezione civile rivelano che il 9% delle strutture risalgono all’era napoleonica, nel 15% dei nostri nosocomi la prima pietra è stata messa quando i nostri bisnonni combattevano la prima guerra mondiale, mentre il 35% è stato costruito prima che finisse il secondo conflitto mondiale. In pratica 6 ospedali su 10 hanno più di 70 anni di vita alle spalle. E secondo la Protezione civile di manutenzione se ne fa ben poca, tanto che il 60% rischia di crollare in caso di terremoto».
Anche lavorare in ospedali fatiscenti favorisce la fuga dei medici verso l’estero o il privato?
«Le cause credo siano altre, ma sicuramente lavorare in strutture vecchie e mal tenute non è di aiuto».
Il Pnrr mette però dei soldi per riammodernare gli ospedali…
«Si, parliamo di 1,6 miliardi ai quali va aggiunto un altro miliardo e 450 milioni di euro del Fondo nazionale per gli investimenti complementari, ma ho l’impressione che si stia procedendo un po’ a rilento. Bisogna accelerare».
In larga parte d’Europa è caccia al medico. Perché questa carenza generalizzata?
«Da molto tempo mancano tanto i medici quanto gli infermieri, questo perché formare entrambi comporta un impegno economico da parte degli Stati e una corretta programmazione. Ed entrambi sono stati carenti in Europa».
Come si argina la fuga dei nostri professionisti verso l’estero?
«Le retribuzioni, che sono tra le più basse d’Europa, ovviamente hanno il loro peso, ma credo che per rendere nuovamente attrattiva la professione medica occorra pensare a un sistema sanitario diverso, che superi il sistema aziendalistico avviato nei primi anni Novanta per condurre una giusta lotta agli sprechi. In 30 anni quell’obiettivo è stato ampiamente raggiunto, ora dobbiamo puntare a un modello diverso, dove i conti devono certamente restare in ordine, ma rimettendo al centro gli obiettivi di salute e dando il peso che meritano alle professioni».
Vuol dire che oggi vi sentite trascurati?
«I medici oggi sono bistrattati. Capita di non riuscire a prescrivere il miglior farmaco disponibile per una neoplasia o una malattia ematologica perché altrimenti si sforano i budget di spesa. E lo stesso avviene per gli interventi chirurgici. Se vogliamo fermare l’emorragia di medici verso l’estero dobbiamo prima ancora che remunerarli come meritano metterli nelle condizioni di lavorare bene. Le linee guida devono essere delle raccomandazioni non delle camicie di forza».
Sono tanti anche gli stranieri, soprattutto extracomunitari, che vengono a lavorare da noi. Può essere la soluzione del problema?
«Non ho alcun pregiudizio ma a non andare bene è il decreto “Cura Italia” che ha consentito il loro ingresso in deroga alla comparazione dei titoli di studio. Questo era comprensibile in epoca di emergenza pandemica ma ora non ha ragione di esistere, perché così c’è persino il rischio si infili qualcuno senza laurea».
Cosa propone?
«C’è una commissione ministeriale che deve provvedere al riconoscimento dei titoli acquisiti all’estero. La si potenzi, visto che oggi impiega sei mesi per un riconoscimento. Ma basta deroghe perché se la formazione non è equiparabile alla nostra, per la sicurezza dei cittadini è giusto si possano chiedere anche degli esami integrativi».
A proposito di formazione, cosa pensa dell’abbattimento del numero chiuso per l’accesso alle Facoltà di medicina?
«Siano saliti a 20 mila accessi alle Facoltà. Nel 2030 avremo persino un esubero di medici mentre l’emergenza è adesso. Per questo dovremmo utilizzare meglio i 40 mila specializzandi che sono medici a tutti gli effetti e che qui, come già avviene nel resto d’Europa, possono completare la loro formazione facendo assistenza nei reparti».
Il governo ha stemperato il taglio alle pensioni dei medici. Pericolo di fuga scongiurato?
«La norma anche così continua a penalizzare gli infermieri e i medici che hanno riscattato gli anni di laurea, favorendone la fuga verso il pensionamento, come se non bastassero quelle all’estero». —