«È un accordo Robin Hood che va nella direzione di quanto ha fatto il governo fino ad oggi, dagli 80 euro per i redditi più bassi al tetto dei 240 mila euro per quelli alti». Marianna Madia, ministra per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione, esce dall’ultima maratona che ha portato alla firma dell’accordo con Cgil-Cisl e Uil, molto soddisfatta.
Ministra Madia, è un accordo “di sinistra”?
«Accorcia la forbice tra chi guadagna di più e chi guadagna di meno, era un nostro dovere farlo, in continuità con la linea che ha tenuto il governo fin dall’inizio, perché i redditi più bassi hanno subito la crisi più pesantemente. Sosteniamo di più chi ha sofferto di più. È la prima volta nella storia, non solo del comparto pubblico ma anche di quello privato, che si fa un accordo di questo genere. Lo hanno riconosciuto anche i sindacati».
La firma arriva a ridosso del referendum, la scadenza ha contribuito?
«A battere il tempo è stata la legge di Bilancio oltre all’intesa sulla riduzione dei comparti ».
A proposito di legge di Bilancio, le risorse ci sono?
«Sono assicurate per il prossimo biennio da un fondo, in legge di Bilancio, da 1,9 miliardi per il 2017 e da 2,6 per il 2018. Parte di queste risorse andranno alle forze dell’ordine e alla scuola. Sarà compito della prossima legge di Bilancio stanziare le ulteriori risorse».
Uno dei nodi delle ultime ore è stato quello di evitare che i lavoratori pubblici, che già beneficiano del bonus- Renzi di 80 euro, si trovassero l’aumento contrattuale mangiato dalle tasse scavalcando lo scaglione Irpef. Come avete risolto il problema?
«Un lavoratore pubblico su quattro, circa 800 mila, ha beneficiato della politica degli 80 euro. Con i sindacati abbiamo condiviso che sarà la contrattazione, con le risorse a disposizione, a coordinare l’aumento contrattuale con la politica degli 80 euro, rafforzando la logica redistributiva per questi lavoratori. Per esempio, non dando tutto l’aumento parametrale a chi guadagna 200 mila euro ».
Sulla firma dell’accordo è pesata fino all’ultimo la sentenza della Corte costituzionale sulla mancata “concertazione” con le Regioni. Alla fine ce l’avete fatta?
«Sì abbiamo recuperato in extremis la procedura. Tutta la parte normativa dell’intesa va infatti nel Testo unico sul pubblico impiego. Nell’accordo è previsto il passaggio d’intesa con le Regioni».
Quando arriveranno i soldi nelle tasche degli statali?
«Dipende dalle parti. Inizia un cammino, ci sarà l’atto di indirizzo. Spero si faccia presto e bene».
I precari che fine faranno?
«Il nostro governo ha ereditato un cattivo reclutamento nella pubblica amministrazione. Nel Testo unico ci impegnamo a concorsi regolari fondati sui fabbisogni e non sulla pianta organica, come abbiamo già fatto con le maestre dei nidi. Il nostro impegno è prorogare i contratti fino all’approvazione definitiva del Testo unico del pubblico impiego che risolverà in modo strutturale il problema ».
Si parla molto di merito. C’è in questo accordo?
«I sindacati si sono impegnati all’adozione di un principio di valutazione. Niente più aumenti a pioggia. Si premierà e si valorizzeranno le professionalità ».
E i furbetti del cartellino? Ci sono impegni?
«La norma già esiste, come è noto, e diverse amministrazioni la stanno attuando, segno che funziona. La recente sentenza della Corte colpisce la delega e non il decreto legislativo: di conseguenza andrò in Conferenza delle Regioni a cercare l’intesa in modo che non ci siano stop. Del resto il principio del contrasto all’assenteismo è ben chiaro anche nell’accordo come pure, per innalzare la produttività, si fa riferimento esplicito ad un aumento dei tassi medi di presenza».
I cittadini avranno qualche vantaggio?
«Il vantaggio è anzitutto per i cittadini e per la crescita del paese, oltre che naturalmente per le lavoratrici e i lavoratori pubblici. Abbiamo introdotto molte norme per la semplificazione e la trasparenza, ma queste norme si attuano insieme e non contro i lavoratori».
Repubblica – 1 dicembre 2016