di Giovanni Rodriquez, Quotidiano sanita. Duro il giudizio anche sul modello aziendalistico in sanità: “Ha fallito, il paradigma italiano errato è quello di considerare la sanità come un costo e non una risorsa. Dovremmo virare decisamente verso un modello di tipo professionale”. Il modello aziendalistico fallisce perché “soggetto a tetti di spesa non tarati in base alle esigenze di cura ma ad esigenze economiche”. Dietro la scelta del mancato investimento sul personale fino al regionalismo differenziato, per il neo segretario nazionale Anaao c’è dietro “un disegno di privatizzazione del Ssn. Siamo pronti alle barricate”
Il Pnrr rischia di diventare un’opera di edilizia sanitaria per costruire delle cattedrali nel deserto. Bocciata anche la riforma del territorio che non tiene conto dell’interazione tra questo e l’ospedale. Ma c’è un unico fil rouge che collega tutti i problemi questi problemi: manca la volontà di investire sul personale sanitario. “Io qui dietro ci vedo la volontà di distruggere il nostro sistema sanitario universalistico e di trasformarlo in un sistema privato o semi-privato. Questo sarebbe deleterio per il nostro Paese e noi saremo pronti a fare le barricate anche in piazza”.
Ne è convinto il neo eletto segretario nazionale Anaao Assomed Pierino Di Silverio, che in questa intervista a Quotidiano Sanità all’indomani della sua elezione al vertice del sindacato fa il punto sull’attualità gettando uno sguardo anche sul prossimo futuro.
A cominciare dal possibile approdo in CdM di una legge quadro sul regionalismo differenziato, uno “scempio” che finirebbe per acuire ulteriormente quella “frattura sociale e sanitaria già esiste oggi tra Sud e Nord”. Duro il giudizio del segretario nazionale Anaao anche sul modello aziendalistico in sanità: “Ha fallito, il paradigma italiano errato è quello di considerare la sanità come un costo e non una risorsa. E questo lo dobbiamo cambiare, con le buone o con le cattive”.
In apertura del congresso Anaao di Napoli l’ex segretario e attuale presidente Carlo Palermo ha lanciato un allarme sulla situazione del Ssn. Governo e Parlamento prospettano invece un futuro ben più roseo per il settore grazie ai finanziamenti straordinari arrivati con l’emergenza Covid e a quelli del Pnrr. Come si spiega una lettura così diversa?
Penso si tratti di un sistema di divergenze convergenti. Mi spiego meglio. É vero che durante l’emergenza Covid sono stati fatti investimenti maggiori in sanità ma sappiamo anche che in rapporto al Pil la spesa sanitaria nei prossimi due anni tornerà a livelli più bassi di quelli del 2019, quindi si è trattato di un innesto economico relativo e momentaneo. Ma, soprattutto, ancora una volta non si è ragionato nel programmare l’elezione ma solo nel programmare l’emergenza.
Cosa intende?
Il Covid ha messo in evidenza una disgregazione del sistema, soprattutto una mancata collaborazione tra ospedale e territorio, di fatto non esiste una medicina di prossimità organizzata. Il Governo, per risolvere il tema relativo alla riforma della medicina territoriale ha varato il DM 77. Ma se provi a risolvere il problema della medicina territoriale senza considerare quella ospedaliera ti troverai di fronte a due problemi: senza integrazione ospedale-territorio non avrai né medici né organizzazione. Si stanno spendendo miliardi per infrastrutture senza considerare che non si il ha personale sanitario necessario per farle funzionare. E non lo si ha perché non sono stati programmati i corretti fabbisogno negli anni passati, senza considerare poi il problema ancora più grande alla base.
Quale sarebbe?
La professione medica nell’ospedale non è più allettante. E non lo è per i seguenti motivi: economico, di diritti, condizioni di lavoro e progressione di carriera. O si trova soluzione a questo o non si riuscirà a risolvere nulla. Ad oggi il DM 77 non specifica neanche chi fa cosa. Quel testo mi dice soltanto che il medico di medicina generale, come normale che sia, sarà interessato a questo nuovo processo ma non spiega con quali medici l’ospedale di comunità pretende di poter portare avanti un’assistenza h24, né con quali medici ha intenzione di gestire le case della salute per i pazienti cronici. Perché attenzione, quando parliamo di pazienti cronici o lungodegenti dobbiamo anche pensare alle specializzazioni che sono inerenti alla gestione di quei pazienti. O forse si vuole fare come nei Pronto Soccorso dove a fronte delle carenze di personale si vuole cooptare in maniera illegale medici di tutte le altre branche?
Mi verrebbe da aggiungere che, al di là degli specializzandi, anche nel Pnrr non si parla mai di personale.
Esattamente. Il Pnrr è una vergogna, vengono stanziati 20 miliardi per la sanità di cui 7 miliardi per le infrastrutture di prossimità e soli 2 miliardi per il personale con i quali si dovrà anche rinnovare un contratto di lavoro già scaduto. Da una parte si dice che non ci sono risorse per il personale quando queste sono state destinate ad altro, creando infrastrutture che rischiano di diventare cattedrali nel deserto senza medici e quel personale sanitario necessario per farle funzionare; dall’altra parte gli ospedali ricorrono alle cooperative per gestire i servizi di emergenza che costano il doppio, il tutto senza diritti per i medici e senza specialità. Quindi in realtà non è corretto dire che non ci sono risorse, il problema è che queste vengono investite male.
Altro tema è quello delle liste d’attesa. Il governo ha varato stanziamenti ad hoc per il loro recupero. Un problema annoso aggravato dall’emergenza Covid. Esiste il rischio di una silente privatizzazione del Ssn?
Il rapporto Agenas su questo tema ha messo in evidenza azioni scandalose come quelle applicate dalla Regione Sardegna. Lì si è arrivati a bloccare l’attività libero professionale che è un diritto del medico. Le liste di attesa non si recuperano di certo pretendendo che il medico rimanga a lavorare in ospedale a costi indecorosi. Il problema si recupera a monte lavorando sull’organizzazione. Se i Cup online sono funzionanti in maniera eterogenea, come pretendi di avere una cartina di tornasole dei pazienti che realmente hanno prenotato una visita? E, ancora una volta, se non hai i medici che fanno le visite il problema delle liste di attesa non lo risolvi. Noi parliamo di problemi che sono tutti interconnessi tra di loro con un solo fil rouge: il personale. Il personale se ne va dal Ssn perché abbiamo gli stipendi più bassi di Europa, orari di lavoro suddivisi in maniera tale da fare 60-70 ore settimanali invece di 38 ore e abbiamo una pressione fiscale al 43%. Ma come si pensa di risolvere il problema sanitario senza investire su personale e dirigenza sanitaria?
Da anni i vari ministri della Salute succedutisi hanno sempre parlato di un Ssn universalistico che si tiene in piedi solo grazie al sacrificio del personale eppure i problemi sembra restino sempre gli stessi. Come si spiega?
Noi parliamo di articolo 32 della Costituzione, di una carta che sancisce l’universalità delle cure ma al di là delle etichette nessuno pensa ad investire sul personale. Il problema di fondo è che il sistema aziendalistico dell’ospedale è fallito. Il direttore generale deve rispondere a logiche economicistiche, non di salute e il medico diventa solo un elemento di una catena di montaggio. Il paradigma italiano errato è quello di considerare la sanità come un costo e non una risorsa. E questo lo dobbiamo cambiare, con le buone o con le cattive.
Se il sistema aziendalistico è fallito a quale altro modello si potrebbe guardare per il rilancio del Ssn?
Dovremmo virare decisamente verso un modello di tipo professionale. Il modello aziendalistico fallisce perché soggetto a tetti di spesa non tarati in base alle esigenze di cura ma ad esigenze economiche. Il medico non è un dirigente della Pubblica amministrazione. Eppure con il decreto Brunetta siamo assoggettati alle stesse regole dei dirigenti della Pubblica amministrazione con tutto ciò che ne consegue. Noi abbiamo in mano la vita della gente. E’ impossibile quantificare il tempo necessario per curare una persona. Facendo così svuoti il medico di quel senso etico-professionale che dovrebbe caratterizzare il suo lavoro. E il medico se ne va. Noi non siamo mercenari, oggi il medico si allontana dall’ospedale perché quello che più gli manca è la qualità del lavoro e il tempo. Il tempo è una risorsa che ha un valore inestimabile, se al medico togli il tempo per vivere e lo paghi anche male è ovvio che abbandoni il Ssn.
Ma questo fenomeno è frutto di una miopia del legislatore è qualcosa di voluto a suo avviso?
Io qui dietro ci vedo la volontà di distruggere il nostro sistema sanitario universalistico e di trasformarlo in un sistema privato o semi-privato. Questo sarebbe deleterio per il nostro Paese e noi saremo pronti a fare le barricate anche in piazza. Non solo su questo ma anche sul regionalismo differenziato.
A proposito di regionalismo differenziato, la scorsa settimana alla Camera il ministro Gelmini ha annunciato che una legge quadro è pronta e dovrebbe essere presentata in CdM in tempi stretti.
Questo comporterebbe grandissimi rischi di acuire ulteriormente quella frattura sociale e sanitaria che esiste oggi tra Sud e Nord. Frattura già oggi acuita da un fondo di perequazione che viene distribuito in maniera assolutamente non dignitosa. Il riparto del Fsn già da anni doveva essere suddiviso in base ad alcuni indici tra i quali il quello di deprivazione sociale. Eppure vengono ancora considerati criteri come quello anagrafico e succede così che la Campania, avendo una popolazione più giovane, prende meno soldi della Lombardia. In questo modo potrai mai avere un sistema universalistico di cure a livello nazionale? Certamente no, anzi aumenti la mobilità passiva e fai in modo che i cittadini che sono nati ad Oristano piuttosto che a Canicattì invece che a Bolzano non solo abbiano difficoltà a curarsi ma vedano anche ridursi la loro aspettativa di vita. Se dovesse passare la legge quadro saremo ai limiti dell’incostituzionalità. Noi cercheremo in tutti i modi di evitare uno scempio del genere e chiunque porti avanti idee di questo tipo farebbe bene a vergognarsi.
Speranza, intervenendo al vostro congresso nazionale ha parlato di un maggiore coinvolgimento degli specializzandi, che ne pensa?
Lo specializzando è un medico a tutti gli effetti. In tutto il mondo il medico quando comincia un corso di formazione in una disciplina specifica lo fa in ospedale perché è lì che può fare esperienza e, una volta dentro, è lì che può rimanere a lavorare. L’accesso in ospedale è regolamentato da una legge vecchia di 40 anni. Per un concorso oggi occorrono dai 6 ai 18 mesi, con tre prove. C’è una burocratizzazione che fa male al sistema. Lo specializzando in ospedale può dare invece il suo contributo con un’autonomia crescente, le dovute tutele e un contratto di tipo subordinato. A me sembra una cosa naturale, con una visione finalmente europea. Il Decreto Calabria ha sdoganato invece una visione della formazione completamente centrata sulle sole università, un qualcosa che esiste solo in Italia. Ma con questo sistema di lobby non si va avanti.
Tornando all’attualità a luglio, nonostante le temperature elevate, le scuole chiuse e la possibilità di stare all’aperto abbiamo già superato gli 80mila nuovi casi di Covid al giorno. Che autunno ci attende e gli ospedali italiani sarebbero pronti a gestire una nuova ondata?
Con le mutazioni subite, ed il successo della campagna vaccinale, il virus oggi è più contagioso ma meno virulento. Ma è in tempi di pace che si prepara la guerra. In questa luna di miele che abbiamo avuto avremmo dovuto prepararci a convivere con un virus che probabilmente non sparirà ma si adeguerà gradualmente all’ambiente. Noi oggi abbiamo a disposizione armi che due anni fa non esistevano come i vaccini, i monoclonali e gli antivirali.
Resta però un problema di organizzazione ospedaliera. Già nel 2020 si parlava di ‘pandemic hospital’ proprio per preservare l’attività ordinaria. Eppure sembra sia passato tutto nel dimenticatoio.
Dopo aver passato la tempesta nel 2020, pagando conseguenze pesantissime, avremmo dovuto da subito organizzare grandi pandemic hospital, un piano delle emergenze nazionali che era presente dal 2006 ma mai attuato perché mancavano le linee guida e avremmo dovuto organizzare percorsi in base all’esigenza dell’elezione e dell’emergenza. Tutto questo però non è stato fatto perché abbiamo preferito ancora una volta ragionare per comparti stagni, trattando la medicina ospedaliera e quella del territorio come due realtà tra loro non interconnesse. Manca una visione di insieme.
Sono in arrivo i nuovi vaccini adattati alla variante Omicron. Come preparare già oggi la nuova campagna vaccinale per non registrare lo stesso flop avuto con le quarte dosi?
La campagna italiana è stata un successo in termini di adesioni. Per la nuova campagna vaccinale va coinvolta da subito la medicina del territorio che è quella che arriva in casa del paziente, cosa che non può fare la medicina ospedaliera. E soprattutto si dovrà mettere in campo una vera integrazione tra ospedale e territorio. Già oggi possiamo preordinare hub e spoke vaccinali per arrivare in tempo e bene organizzati a ottobre. Il problema è che ormai di Covid quasi non se ne parla più. Manca una vera campagna di sensibilizzazione culturale sul tema vaccini. Veniamo da due anni di infodemia, occorre ci siano soggetti autorizzati e credibili per spiegare in maniera chiara la scienza ai cittadini. Altrimenti avremo difficoltà a far comprendere l’utilità del vaccino. Mi lasci però aggiungere una cosa sui dirigenti sanitari.
Ci dica…
I dirigenti sanitari, eroi silenti che lavorano dietro le quinte. La sanità è fatta anche da loro. Questi dirigenti vengono considerati di serie B, il che è denigrante, anche perché se non ci fossero loro il sistema non reggerebbe. Sarebbe il caso di far conoscere il panorama della sanità in toto, tra l’altro anche loro soffrono problemi legati alla stabilizzazione.
Giovanni Rodriquez
05 luglio 2022