La guerra del grano ha rovinato un po’ l’estate a Oscar Farinetti. Ad accendere la miccia, per onor di cronaca, è stato lui. Quando in tv a inizio agosto, stretto nei tempi di scena, ha detto che «per fare pasta di alta qualità serve grano duro che in Italia è difficile trovare». Motivo per cui Eataly compra materia prima anche all’estero, in Canada e Usa, dove «non c’è paragone (in meglio,ndr.) a livello qualitativo ».
I social, e non solo loro, non gliel’hanno perdonata. Da un mese l’imprenditore piemontese è nel mirino del web, accusato di tradimento di made in Italy e biodiversità, di produrre spaghetti con cereali ogm e di far shopping oltrefrontiera solo per risparmiare, acquistando prodotti trattati con diserbanti — come il glifosato — proibiti da noi. Ora prova a rimettere i puntini sulle “i” («non posso rispondere uno a uno online») con la sua verità. Primo: «Eataly non fa pasta con grano Ogm perché il grano Ogm non esiste in commercio — ci sono solo mais, soia, cotone e colza — e noi combatteremo perché non venga introdotto ». Secondo: non ci sono cereali trattati con glifosato sui suoi scaffali «perché da un anno ho dato mandato a tutti i fornitori di non comperare materia prima trattata con prodotti vietati in Italia». Terzo, la cosa che più gli sta a cuore: «Il rilancio dell’agricoltura e dell’allevamento tricolore non può passare dal protezionismo, ma da una scelta di qualità e trasparenza».
Iniziamo dal pomo della discordia, il grano. L’Italia è il Paese della pasta. E la sua “esterofilia” ha fatto arrabbiare molti agricoltori.
«In Italia produciamo 4 milioni di tonnellate di grano l’anno. Ma ce ne servono tra 7 e 8. Per fortuna, perché significa che vendiamo molta pasta nel mondo. Il risultato però è che dobbiamo importarlo per forza. E non solo per un problema di quantità. Il nostro Paese è troppo piccolo, ha solo lo 0,2% delle terre emerse e appena 14 milioni di ettari coltivabili. Ci sono aree più vocate di noi ai cereali come Canada, Australia e Usa dove si riesce a fare coltura intensiva di buona qualità che dà granella con più proteine e glutine e meno ceneri, quello che serve per rendere la pasta elastica e tenerla al dente».
Quindi è vero che il grano italiano è peggiore?
«No. Tutt’altro. Da noi ci sono molte produzioni di altissima qualità. Eataly con Gragnano — ma lo stesso vale per molti altri pastifici — confeziona paste fatte al 100% con materia prima tricolore, eccellente. I contadini fanno bene a lamentarsi perché il grano è pagato una miseria. La soluzione a questo problema però non è il protezionismo, ma lavorare sulla qualità, valorizzando la biodiversità garantita dalla posizione felice del nostro territorio ».
Voi quanto pagate in più queste qualità “pregiate” rispetto al prezzo medio di mercato?
«Paghiamo dal 40% in più fino al doppio per il biologico. L’agricoltura italiana, grazie anche a Coldiretti, ha fatto un lavoro magnifico su ulivo e vite, sulle nocciole e sull’ortofrutta, dove puntando sulla qualità siamo tra i leader del mondo e vendiamo bene la nostra produzione all’estero. Su grano e latte, invece, siamo in ritardo. E non a caso le loro quotazioni sul mercato sono una vergogna. Non possiamo metterci a far concorrenza alla coltura intensiva: gli agricoltori devono pensare a seminare cultivar antichi e trattarli in modo biologico. Guadagnerebbero molto di più anche con minor resa dei campi».
C’è chi l’accusa di comprare all’estero per questioni, più banalmente, di risparmio…
«Alla fine, tutto considerato, spendo di più. Io comunque sono d’accordo con chi propone l’etichetta trasparente. Si scrive da dove arrivano tutti gli ingredienti. Poi decide il consumatore. Sull’olio, per dire, io non ho dubbi: si deve scegliere il 100% italiano. Perché produciamo tante olive di altissimo livello. Come per il pomodoro: il San Marzano è insostituibile. Lo stesso discorso non vale per il grano. Ma nemmeno per il cioccolato e il caffè. Siamo tra i leader mondiali in questi due mercati con prodotti di ottimo livello perché sappiamo trasformarli grazie al nostro savoir faire, ma certo non coltiviamo cacao e caffè qui da noi. Il nostro obiettivo deve essere quello di esportare sempre più pasta all’estero. Utilizzando (e pagando bene) i cereali di qualità che ci sono in Italia e comprando all’estero la materia prima dello stesso livello che qui non c’è senza sentirsi in colpa».
E cosa dice a chi l’accusa di tradire così il made in Italy?
«È la critica che mi ha ferito di più. Con quello che ho fatto per portare i veri prodotti alimentari tricolori nel mondo, a farli conoscere ed apprezzare distinguendoli dalle imitazioni e a impostare una “narrazione” sul loro valore, non penso proprio di meritare accuse di questo tipo».
Repubblica – 15 settembre 2016