La Stampa. «Un brutto inizio». Lo dice subito Maurizio Landini, uno che aveva promesso «giudicheremo il governo dai fatti». Ebbene, ammette il segretario della Cgil alla vigilia dell’incontro delle parti sociali con la ministra Calderone (domani) e della manifestazione per Pace e Lavoro (sabato a Roma), «questi primi provvedimenti annunciati hanno un carattere ideologico e identitario». Soprattutto, argomenta, «non mi pare rispondano ai bisogni reali delle persone e alle emergenze che dobbiamo affrontare col Paese». Contesta la norma anti-rave e, con Cisl e Uil, ha chiesto un incontro con l’ex prefetto Piantedosi. Vorrebbe che si parlasse di occupazione e di lotta alla povertà che dilaga: «dell’emergenza», in sostanza. Se no? Se no, sarà inevitabile che anche il sindacato abbia un suo momento “whatever it takes”: «Faremo tutto ciò che è necessario per rispondere ai bisogni dei lavoratori e delle persone per garantire loro un futuro dignitoso».
Non un buon inizio, segretario. Perché?
«Penso all’innalzamento del contante deciso quando invece bisognerebbe mettere il contante nelle tasche di chi non arriva alla fine del mese e lottare contro evasione fiscale, corruzione, caporalato, lavoro nero e mafie. Rifletto sul decreto anti-rave e – posto che Modena la situazione è stata gestita con intelligenza – mi domando dove sia l’urgenza per un decreto in un contesto in cui l’Europa insegna che non è con la repressione che si risolvono questi problemi. Mi chiedo come si possa scrivere una norma così generica, e quindi pericolosa, che potrebbe essere utilizzata per qualsiasi manifestazione. Mi interrogo sui provvedimenti presi sui vaccini, su quale sia stata l’evidenza scientifica considerata, visto che il virus si diffonde ancora e il bisogno di vaccinarsi lo abbiamo. Senza dimenticare che la Sanità ha bisogno di assunzioni e investimenti per potenziare servizi territoriali, i pronto soccorso e le terapie intensive».
Meloni aveva promesso che le bollette sarebbe state affrontate nel primo Consiglio dei ministri. Invece andiamo al secondo o al terzo.
«Noi diciamo “le emergenze prima di tutto” sulla questione dell’energia come sulla legge di bilancio. Abbiamo chiesto con Cisl e Uil un incontro con la presidente del Consiglio per discutere tutto questo e delineare un nuovo modello di sviluppo nella cui costruzione il sindacato e il mondo di lavoro siano pienamente coinvolti e non solo informati a cose fatte».
I rave, ancora. Quando si interroga sull’urgenza del decreto che risposta si dà?
«S’impone un chiarimento definitivo con il ministro perché, per come è scritto, si finisce col colpire qualsiasi forma di dissenso».
Come si supera la deriva ideologica e identitaria?
«Viviamo tutti, compreso il governo, una stagione inedita e difficile. Perciò, rivendichiamo un confronto vero che coinvolga tutte le parti».
Confindustria propone un Patto per l’Italia, un tavolo in cui tutti lascino qualcosa.
«Il lavoro ha già dato. Superare la precarietà è la nostra prima richiesta. Aumentare il netto in busta paga e il netto delle pensioni è un nostro esempio».
Bonomi ha suggerito la riapertura della Sala verde a Palazzo Chigi per il confronto.
«È il momento delle scelte concrete e noi abbiamo delle soluzioni precise».
Quali?
«Partiamo con l’intervento sugli extra-profitti. Non basta riscrivere la legge. Bisogna alzare la soglia e ampliare la platea oltre il settore energetico. Tutto il gettito extra deve essere utilizzato per aiutare i lavoratori e le imprese che rischiano di chiudere. Subito. Anche con un contributo di solidarietà finalizzato a sostenere politiche di sviluppo e occupazione come fatto in questo in giorni in Germania».
Cosa intende?
«Si può stabilire che le imprese che godono di sostegni pubblici per due anni mantengono l’occupazione, senza delocalizzare o esternalizzare le produzioni».
E poi?
«Il sostegno ai salari. I contenuti con i quali recepire la direttiva sul salario minimo sono centrali. In tempi di inflazione, la difesa delle buste paga è sostanziale. Abbiamo oltre sei milioni di lavoratori che non superano i 10 mila euro annui di reddito lordi. Bisogna tagliare il cuneo fiscale e contributivo, e usarlo tutto dalla parte di lavoratori e lavoratrici. Quindi bisogna praticare il superamento della precarietà».
Senza interventi, con il 2023 torna in vigore la riforma Fornero. Qual è la vostra ricetta?
«Con Cisl e Uil abbiamo scritto una piattaforma per riformare il sistema pensionistico. La riconfermiamo per superare il precariato e introdurre la pensione di garanzia per i giovani. Occorre flessibilità di uscita da 62 anni, con regole diverse per gli impieghi più gravosi ed usuranti. Si deve riconoscere la differenza di genere, perché le donne sono state più penalizzate dalla riforma Fornero. Dentro questo schema ribadiamo che con 41 anni di contributi sia possibile uscire, indipendentemente dall’età».
Saltano i navigator. Buona o cattiva notizia?
«Che non sono d’accordo. Sono persone che hanno lavorato e acquisito delle competenze di cui abbiamo bisogno per potenziare i servizi pubblici che gestiscono. Non è accettabile di fatto licenziarli».
Che fare del reddito di cittadinanza?
«In un paese che ha 5 milioni e mezzo di persone in povertà assoluta, di cui 1,5 milioni sono minori, non è ammissibile l’idea del superamento di uno strumento che tutela chi è in condizioni di povertà. Detto questo, il tema è come si crea lavoro non precario».
Il reddito andrebbe sospeso a chi rifiuta il lavoro?
«È una discussione finta. La condizionalità già esiste. È il lavoro che manca e quando c’è risulta spesso instabile e sottopagato».
Si aspetta ostilità da un governo di destra nei confronti del sindacato?
«Lo giudicheremo dai fatti. Vogliamo un confronto che deve essere vero. Non basta solo essere informati. Il nostro riferimento è rimane l’attuazione della Costituzione. Abbiamo proposte da mettere sul campo a partire da una riforma fiscale che sia un nuovo patto di cittadinanza».
Come la immagina?
«Siamo contrari alla flat tax e invochiamo il principio costituzionale della progressività. In questo senso, la logica dei condoni fiscali è uno schiaffo a chi le tasse le ha sempre pagate e alla cultura della cittadinanza fondata sull’uguaglianza. E non condividiamo l’autonomia differenziata che acuisce le diseguaglianze”.
Siete pronti a essere duri con un governo che non sembra voler far sconti?
«Il nostro mestiere è rappresentare gli interessi di chi lavora, di chi ha bisogno, dei pensionati e dei giovani ed affermare un nuovo modello sociale. Sosterremo le rivendicazioni sino in fondo. Questo governo ha una maggioranza in parlamento, è innegabile. Ma ci sono 18 milioni che non hanno votato e 15 che hanno votato altro. Nessuno può dire che può rappresentare da solo la maggioranza del paese. C’è bisogno di un confronto e di una mediazione sociale. Se avremo ascolto, bene. Se ciò non dovesse avvenire, se il governo volesse deliberare da solo, decideremmo naturalmente tutti gli strumenti necessari e democratici per sostenere le nostre posizioni». —